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Punta Zumstein e Punta Gnifetti o Signalkuppe
Mai salita ebbe una così
lunga ed estenuante attesa... La storia del mio personale incontro con la Punta Zumstein risale esattamente ad un anno fa, anzi, ad un anno ed un mese. Il tre agosto del 2008, durante la parte finale della salita alla Punta Gnifetti o Signalkuppe, qualcosa scattò nella mia mente, per non lasciarla più: un desiderio, un moto in direzione di, una fortissima e tacita attrazione che mi avrebbe silenziosamente blandito e chiamato per tutto l'arco dell'anno morente e per i primi otto mesi del 2009. Era la solita vecchia storia, anzi, una storia antichissima, la più antica: un uomo, un intelletto, viene a contatto con qualcosa e, finché non l'avrà raggiunto, la tensione verso l'oggetto dei suoi desideri lo consumerà, spronerà, insulterà e spingerà incessantemente. E' al contempo strano e piacevole rileggere questa pagina, alla luce della mia nuova salita alle Punte Zumstein e Gnifetti avvenuta nell'agosto 2012. Ma allora, ciò che mi intrigava ed intimoriva, ciò che mi richiamava da lontano, poteva essere difficilmente definita a parole; e se proprio avessi voluto rendere tutto ciò, avrebbe parlato in questo modo antico ed ammaliante. (...) Mi
parlò allora con queste parole Circe possente: E così
tutto questo è compiuto. Tu però ascolta e fa' come io ti dirò: te lo
ricorderà anche un dio. Tu arriverai prima dalle Sirene, che tutti gli
uomini incantano, chi arriva da loro. A colui
che ignaro s'accosta e ascolta la voce delle Sirene, mai più la moglie
e i figli bambini gli sono vicini, felici che a casa è tornato, ma le
Sirene lo incantano con il limpido canto, adagiate sul prato... Vai
alla Galleria fotografica- Vai a GPS Da molto tempo amavo, anzi, veneravo l'Odissea,
con la passione e l'eterno stupore di chi apprende di come un ignoto
Autore abbia potuto ritrarre la mia storia sin da nove secoli
prima di Cristo. Preso tuttavia da tutto ciò che di bello, di negativo
e soprattutto di urgente può occorrere in circa tredici mesi di
esistenza, non ricordavo di certo il Libro Dodicesimo; a
differenza del mio primo grande Eroe, io non potevo nemmeno vantare un eclatante
ritorno dalla casa di Ade. Né vi ho mai incontrato un benevolo e
malinconico Tiresia disposto ad elemosinare divinazioni e suggerimenti,
perché tutto quel che ho fatto, sbagli compresi, è sempre provenuto
dal mio sacco. La mia Sirena, è ormai chiaro, aveva lanciato il
proprio richiamo e questo aveva fatto presa: ricordo come durante tutta
la lunga discesa dalla Punta
Gnifetti non avessi quasi badato a dove mettevo i piedi, continuando
a voltarmi, al contempo contento e rammaricato, verso di lei. E
per una volta nella vita non indulgevo nella mia abituale ricerca di
informazioni, pur circondato da Guide alpine di chissà quante nazioni,
da esperti alpinisti e da alpinisti della domenica: per una volta, i
canonici valori su cui correttamente si basa l'appassionato di montagna
(e, a maggior ragione, colui che di montagna deve scrivere e descrivere)
non mi interessavano. Non avevo urgenza di conoscere durata, difficoltà,
pendenza; non bramavo confrontarne il dislivello, non mi premeva sapere
se avrei dovuto arrampicare su roccia o camminare su neve, non ero
nemmeno ansioso di conoscere l'ubicazione e gli spostamenti usuali della
crepaccia terminale. Al di là di ogni cosa, al di là della stessa
stanchezza celebrata dalla sacra London Pride nel baretto di Stafal, io
volevo lei. Io volevo salire la Punta Zumstein, lo volevo in un
modo che con lo sport, l'esplorazione e la conoscenza alpina non aveva
nulla a che vedere. Io la volevo, a prescindere da ogni cosa,
perfino dal suo nome; ed al contempo non la sentivo mia, quando dalle
altre vette lo sguardo correva a sinistra della Punta Gnifetti, e questo
mi feriva e spronava. I giorni e le escursioni si sono snodati
incessantemente, fino al 17 agosto 2009, quando, intorno all'una, mi
sono ritrovato da solo in vetta alla indescrivibile solitudine della Punta
di Soleron, quasi schiacciato al cospetto della disarmante ed
opprimente mole del Monte Nery, là
davanti. Quel che ricordo maggiormente di lei è l'impressionante
connubio di luce e calore solare, che dallo zenit mi inondava, mi
pressava al suolo, ad ore di distanza da qualsivoglia sorgente. Nel mio caso, la bruciante carezza solare con
cui mi aveva sferzato la superba e remota Soleron aveva lavato via molte
cose. Tra di esse, il timore, la sensazione di non appartenenza, di non-
diritto a volermi appressare a quella gigantesca lama di ghiaccio
traslucido scorta all'inizio dell'agosto 2008. Non sono forse le
montagne, da sempre, i soli dei che mi abbiano aiutato o respinto,
esaltato, visto crescere? La percezione di questa svolta eterea,
sovrannaturale, persisteva tenacemente la mattina successiva. 18 agosto
2009. Commissioni, lavoro, perfino l'invito a presentare il mio libro a
Lodi: come sempre, il giorno riporta alla realtà. Invitavo pertanto me
stesso a restare su un piano razionale, concreto, tangibile e
culturalmente accettabile: una vetta è una vetta è una vetta, le
Sirene esistono solo nella misura in cui ce ne lasciamo influenzare, mio
caro. E' una montagna, o sarai in grado di salirla o dovrai rinunciare
con tuo grande dispiace e vergogna, ma non ti rapirà e di certo non ti
trasformerà in alcun tipo di quadrupede commestibile. Il
sonno della ragione genera mostri, e poi, santi numi!, sei
figlio di una civiltà che ha impiegato migliaia di anni per approdare a
sponde più o meno scevre da oscurantismo, assurdi dogmi religiosi,
ataviche superstizioni ed ignoranti credenze. Datti un contegno,
dannazione. E via dicendo. Obbediente alla mia stessa esortazione, ho
dunque cominciato, con un anno di ritardo!, a studiare la mia dea, pardon!,
la mia concreta e tangibile vetta. Ho sciolto le redini di Google e ho
navigato, come Melville, per oceani e biblioteche; e prima ancora,
fedele alla mia passione bibliofila ed al profumo della carta stampata,
ho aperto i manuali, il summa di due secoli di conoscenza umana
delle Alpi Occidentali. Tuttavia, è inutile negarlo, sapevo che
mi accostavo al lato materiale e scientifico del problema solo in
seguito alla deliziosamente irrazionale Svolta Notturna, e che tale
Svolta Notturna era giunta in seguito al favore di Qualcuno... Una
colossale e perfetta piramide di cupa roccia, ammantata di ripida olina,
incastonata altezzosamente al disopra dei valloni di Chasten
e di Graines. Tra atavico panteismo e moderno raziocinio, prima che la sera
scendesse di nuovo, avevo raccolto una messe di dati inerenti alla
Zumstein. Dovevo solo rileggerli, ed avrei razionalmente conosciuto la
mia agognata vetta, e tutto sarebbe tornato finalmente ad una dimensione
normale, come ripeteva sdegnata la mia mente: Non dimentichiamo, caro
il mio paganeggiante montagnino, che la Scienza è tutto quel che
abbiamo, e che rinnegarla significa sputare indegnamente su migliaia di
persone che hanno lavorato, sofferto e si sono sacrificate per
permetterci di... Vabin, vabin, capito il messaggio. Leggiamo. Edito nel settembre 1925, Gruppo
Monte Rosa di Amilcare Bertolini e Giuseppe F.
Gugliermina descrive il Pizzo Zumstein
(4563). Per la cresta S.E. o pel versante S.O. Dal ripiano superiore del
Grenzgletscher in un'ora al nevaio fra il Pizzo Zumstein e la Punta
Gnifetti; di qui in 45' facilmente alla vetta. Giulio Berutto, ne Cervino
- Matterhorn e Monte Rosa, ci ha regalato un libro meno
"personale", contraddistinto da un rigore più prossimo a
quello del grande Buscaini. F+ \ PD-, leggo. (...)
Non molto ripida, può presentare dei tratti di ghiaccio vivo nella
seconda metà; seguono delle facili roccette affioranti, una breve
placca e si giunge in vetta (30 minuti). Mario Vannuccini,
nel suo I 4000
delle Alpi, si
limita a sancire F; crepacci, affermando
La vicina Punta Zumstein, benché più
leggermente elevata, gode di minor popolarità, e viene toccata quasi
esclusivamente dalle cordate che si dirigono verso la Punta Dufour. Egli
chiude con un altro giudizio soggettivo, lontano anni-luce dalla mia
percezione, perlomeno nel 2008: (...) ma
certamente l'attenzione viene catalizzata dalla Punta Gnifetti, forse
per il fatto che sulla sommità si trova un rifugio o forse per la sua
forma elegante. O forse sono io ad essere irresistibilmente
attratto dalle vette dalla forma triangolare, slanciata, piramidale. Tra i vari Excel, Access ed Explorer aperti,
torno alla tredicesima fotografia della Galleria
dedicata, un anno fa,
alla Punta Gnifetti e concludo di non sapere ancora molto.
Trascorrono le ore e, dopo pranzo, approfitto di una pausa estemporanea
per approfondirne la storia, sorseggiando caffé al calor bianco a
prudente distanza dai miei preziosi libri. Vai
alla Galleria fotografica- Vai a GPS La mia Sirena, terza cima del massiccio del Rosa
ad essere raggiunta dagli alpinisti, ha incantato sin dal 1819 gli
uomini: due pionieri, Johann Nicolas Vincent e Joseph Zumstein, posero
piede sulla bella vetta che da allora porta il nome del primo dei due,
la Piramide Vincent. L'effetto scatenato su di loro fu evidentemente
tale da portarli ad pianificare una spedizione di tredici unità per il
1820, cui prenderà parte l'ing. Molinatti, membro della Regia Accademia
delle Scienze. La mala sorte si accanisce contro gli alpinisti che, il
26 luglio, sono costretti alla rinuncia dal meteo, mentre durante il
tentativo del 31 luglio sono costretti a trascorrere la notte, in
undici, in un crepaccio sottostante la Parrot, a circa 4200 metri,
sprovvisti dei moderni abiti d'alta quota. Intorno alle dieci di mattina
del giorno seguente Zumstein raggiunge la vetta, ritenuta finora la più
alta del Rosa; la squadra lascia una croce di ferro sulla sommità
rocciosa, che inizialmente si sarebbe voluta chiamare Cima
dell'Alleanza. Ad ogni modo, nel 1825, il barone Franz Ludwig von
Welden (1780 – 1853) battezzò ufficialmente Zumsteinspitze questa
sommità, mentre solo nel 1842 la pur vicina Punta
Gnifetti venne salita per la prima volta, malgrado i reiterati
tentativi. Joseph Zumstein tornò in vetta alla "sua" punta
l'anno seguente ed ancora nell'agosto del 1822, portando con sé un
termografo, mentre Molinatti, due stagioni prima, aveva utilizzato un
teodolite per le prime misurazioni di distanza ed altezza. La prima
salita invernale avvenne infine il 20 marzo del 1902 da Ettore Allegra,
insieme a Dayné e Welf; e poi, migliaia e migliaia di uomini e donne
sono entrati, consapevolmente o meno, a far parte di questa grande
Storia, forse ammaliati a loro volta dal lontano canto di una di quelle
ingannevoli donne contro cui metteva in guardia Circe possente. Punta Zumstein. Salita Il rifugio Mantova al Garstelet, gestito dalla
Monterosa Hutte di Paolo Comune, ci accoglie alle 16.44 di sabato 29
agosto 2009. Vi è ben poco che non sia stato ancora scritto su
giornali, manuali o siti Web a proposito di questo eccellente rifugio,
collocato a 3498 metri di quota; o meglio, qualcosa di importante c'è,
poiché il Mantova è stato interamente rinnovato ed ampliato verso
occidente grazie al lavoro della ditta Chenevier di Charvensod, su
progetto degli architetti Quattrocchio e Binel. L'effetto è
stupefacente: entro nella penombra di una saletta destinata ai
materiali, dove mi tolgo gli scarponi, scegliendo un paio di Birkenstock
quasi del mio numero. E' stata predisposta anche una vasca con
capacità di 40.000 litri e, presto, verranno realizzati box doccia e
servizi igienici interni al rifugio, separati per gestori e clienti; ma
è nulla rispetto al grande, nuovissimo salone in legno. Siamo in due, io e Federico, partiti alle 14.55
dai Salati, 26 Euro di spesa (di cui uno reso su cauzione al rientro).
Sfortunatamente finiamo in un grande camerone che conserva buona parte
degli 80 posti letto del rifugio, in letti a castello; i nostri sono i
numeri 37 e 38. La cena è ottima, con pasta al sugo e formaggi di due
tipi differenti, con contorno di puré di patate e budino al cioccolato;
ci concediamo il lusso di un quartino di vino rosso, mentre al tavolo
accanto al nostro viene portata una torta di compleanno per un
giovanissimo alpinista, per il quale l'intero salone esplode in
applausi. La serata è bella ed allegra, poiché nel tardo pomeriggio,
mentre spaparanzato al sole sulla terrazza (in probabile corso di
estensione verso ovest, approvo compiaciuto pensando al prossimo anno)
guardavo i lontani contorni del Monte
Zerbion, una manata e Ma
noo! Ma chi si vede qui! hanno preannunciato l'arrivo
dell'amico Rudy Perronet. Rudy, quasi mio coetaneo, è aspirante Guida
alpina della Val d'Ayas, persona piacevolissima ed estremamente
simpatica, oltre che competente: l'ideale sia per affrontare una serata
giù al Nigra, a Montjovet, sia per una esaltante "cavalcata"
di quattromila nel Rosa, oppure ancora per arrampicare su falesie
assolate, in riva al mare. Viene rapito dai colleghi per un aperitivo
che, con l'invidia di tutti, attira il personale femminile del rifugio
tra brindisi e scatti fotografici, ma per tutta la cena chiacchiereremo
del più e del meno, pianificando la "copertura" offerta da
Varasc.it all'iniziativa Val d'Ayas 360°. La notte trascorre meno positivamente e,
purtroppo, lentissima. Molto caldo nel camerone e, soprattutto, il caos
di alcuni maleducati alla mia destra, palesemente su di giri per l'alcol
ingerito, palesemente incapaci di comportarsi a modo in un simile
contesto di montagna. Alle 4 in punto scatto fuori dal letto bassissimo,
colpendone il soffitto su cui dorme Federico, e prima che io stesso
abbia pensato Meno male!, ho già piegato il piumone arancione e
recuperato lo zaino, rivestendomi al buio e schizzando giù per le
scale. Riprendo a respirare nel salone e, prima di capire quel che sto
facendo, mi riempio una scodella di latte. Latte: non lo tocco da
quando ne ero obbligato, verso i sette, massimo otto anni d'età. Oh
beh, mi dico, fatalista, sorseggiandola con una bustina di zucchero
"propedeutica"; quindi, tazza di caffè, con tartine alla
Nutella. O quel che è, sa di nocciola, ad ogni modo. Arrivano
anche Federico e Rudy, stanno tutti bene, compresi i simpatici clienti
del nostro amico, tra cui un cortese signore molto simile all'attore
Sean Bean. Fuori non fa freddo. Mi lavo i denti nei vecchi bagni
esterni, augurandomi che sia l'ultima volta!, mentre le stelle,
indifferenti, sembrano pulsare; una chiazza di luce si estende a
sinistra, là in fondo, dove dovrebbe esserci Novara. La gente indugia
sulla terrazza, giacche slacciate e senza guanti, scattando fotografie;
il Mantova risplende livido per pochi nanosecondi, le bandiere
garriscono e schioccano, in alto. Vai
alla Galleria fotografica- Vai a GPS La traccia si dipana sui grandi falsipiani
glaciali ai piedi della Vincent prima, del Corno Nero e della Ludwigshöhe
successivamente, fino a portarci al primo punto di pausa, l'ampio e
pianeggiante Colle del Lys, a 4255 metri, in asse con l'imponente sagoma
del Lyskamm Orientale. Più avanti e sulla destra, la gonfia sagoma
della Parrot; oltre, in alto, l'immensa salita che conduce al Colle
Gnifetti, sovrastato dalla Punta omonima a destra, dalla bellissima
Zumstein a sinistra. Sorrido a Federico, commentando che fino a qualche
anno fa confondevo ancora il Gnifetti con il Colle del Lys, mentre
beviamo té ed assaggiamo le mie albicocche secche. Intorno a noi,
moltissime persone, cordate da due o cinque, sette componenti; la
giornata è perfetta, il sole ci inonda e mi soffermo a guardare una
piccola farfalla bianca svolazzare indefessa in direzione del
Grenzgletscher. Aumento di tre metri esatti la lunghezza della corda tra
di noi. Sono le 8.30 quando raggiungiamo il Colle
Gnifetti, a 4454 metri, in perfetta forma, tranquilli. Scherziamo con
due alpinisti che si sono staccati dal grande gruppo di cordate dirette
a destra, verso la sagoma torreggiante del rifugio Regina
Margherita alla Punta Gnifetti; stimo che la Zumstein disti circa
400 metri in linea d'aria da noi, mentre con calma prendo l'ennesimo
waypoint. Ci spalmiamo abbondante crema solare, beviamo e riposiamo un
po', ammirando l'incredibile panorama offerto dal "mare di
nubi" che sommerge uniformemente il Piemonte, la Lombardia e la
Confederazione, là davanti; è come essere sugli spalti di un castello.
Due elicotteri roteano verso la Punta
Gnifetti, due piccoli aerei da turismo, tutti vetrate e motori,
rombano con insistenza sopra di noi ed ora suppongo di far parte di
qualche pixel in uno sfondo del desktop a Kyoto o Mosca o dovunque
provenissero quegli abbienti tizi non in grado di salire quassù con le
proprie gambe. Così, cortesemente, salutiamo e sorridiamo; è presto,
non sono nemmeno le 9 e non siamo nemmeno sudati, che diamine. Inoltre
il mio (in)fido camelbag non s'è congelato e le infernali ghette,
creature del demonio!, non osano muoversi di un millimetro. Controlliamo
i ramponi, e via. Una breve rampa premette ad un tratto di cresta
nevosa più sottile, più aereo, bellissimo: sembra vi sia passato un
piccolo tagliaerba, la traccia è regolare e perfetta, profonda due
spanne e contornata da alti bordi che, se fossi alto mezzo metro, mi
tornerebbero utili come balaustre laterali. Tutto riluce, tutto
scintilla; ben presto i fianchi di neve svaniscono, condensandosi sui
due lati in una paritetica, scenografica caduta, molto impressionante
sul lato destro, nella generica direzione di Macugnaga. Le nubi immote,
là sotto, colmano tutto e mi privano di riferimenti certi, né so dove
esattamente inizi la Svizzera e dove l'Italia; la cresta, ben lungi
dalla possente teoria di saliscendi che rendono unico il Castore,
termina tuttavia ben presto. La sua larghezza è scarsa, mi permette di
tenere i piedi affiancati ma, ripensandoci, preferisco una posizione più
solida, poiché improvvise raffiche di vento provenienti dalla Nord dei
Lyskamm ci assalgono; all'improvviso siamo sotto le rocce e la Zumstein,
la mia Sirena, ci protegge. Sento il vento scorrere ululando mezzo metro
dietro di me, sento schioccare ancora le cinghie dello zaino, poi calma
assoluta. Bonaccia. Il primo gradino di roccette è facile da
superare, molto semplice. Anzi, semplice e comodo, poiché mentre
Federico sale con cautela davanti ai miei occhi, io mi siedo; mi siedo e
passo la corda che ci unisce intorno ad uno sperone che sembra
progettato appositamente, lasciandola scorrere con precisione, in modo
che lui ne senta bene la tensione, la pronta trazione qualora scivolasse
o inciampasse. Il sole batte sulle mie mani e sulla testa. Poco oltre,
ecco la prima grana: un solo metro... Ma molto esposto sulla sinistra, là
ove, più in basso, il ghiacciaio del Colle Gnifetti curva ad incontrare
il Grenzgletscher. Neve slavata, poca neve, roccia verticale su cui
poggiare i piedi e, al disopra, roccette molto alte; con abbondanza di
neve questo tratto non si percepirebbe nemmeno. Sali, sento,
guardando in alto. Sali. Propongo di passare io in testa, semplicemente
perché, un po' più alto, dovrei fare un passo meno lungo; Federico però
preferisce avermi dietro, così mi risiedo e trovo un altro appiglio per
la corda, a mò di bitta per una gomena navale. Passa e riprende a
salire. Terrazzino.. Roccette, molto alte sulla destra, ottimi appigli
sia per le mani che per la schiena, qualora occorra appoggiarsi un po'
mentre l'altro si inerpica. Le picche tintinnano contro la roccia,
avremmo dovuto metterle via? I ramponi graffiano, una volta di più, la
Zumstein. Una misteriosa maledizione incoglie la mia piccola Canon, il
cui display, mentre scatto, diventa bianco. Che le succede? Siamo ora
molto in alto, me ne rendo conto: poche roccette ci separano dal
colossale pendio meridionale della montagna, ne limitano la vista. Voci,
sopra di me: urlo qualcosa di stereotipato come E' fatta, suppongo.
Ultima rampa, anzi, canalino nevoso, molto erto e fortunatamente
fiancheggiato da roccette aguzze sui due lati: la corda s'impiglia
professionalmente, come solo lei sa fare. E' alto due volte me, circa
quattro metri, calcolo... Tocca finalmente a me, Fede sparisce in alto.
Non gli chiedo nemmeno se posso venire e salgo: obbedisco per l'ultima
volta al richiamo e, in pochi istanti, sono in vetta. Sono in vetta. Mi gusto, solamente, la consapevolezza eterea ed
esterna, aliena al mio essere ed alla mia mente, che arriva da qualche
parte, da qualche profonda, sovrannaturale Essenza o Entità annidata in
quelle rocce: Ora sai. E quota, dislivello, tempistiche e pacche
sulle spalle contano più poco, si sciolgono come neve al sole... Io
non vorrei più andarmene, penso, e mi sento un bambino di dieci
anni il giorno della partenza da Champoluc, da Chiavari: insensatamente
strappato via per altri lunghi mesi di rabbia, nervoso, noia, in un
ambiente neutro di cui non sentivo l'appartenenza. E' come un sogno.
Tentacoli maliziosi nella mia mente sondano e pungono, s'intrecciano e
toccano tasti delicati, trovano facili sponde. Per cosa? Perché andare
via? Per i soldi? Per il sesso? Per i viaggi o i tuoi amati libri
antichi, per altre montagne? Il Qui ed Ora mi schiaccia, quasi non
vedo nemmeno il panorama, tanto non vorrei andarmene. Tu lo sai che,
di tutte queste cose, non ne avrai mai abbastanza. Mi siedo, tocco la mia vetta, sento la Sirena:
subito piccole gocce d'acqua si trasferiscono sul dorso delle mie mani,
scivolano tra le falangi, come carezze di una amante che non voglia
essere nuovamente lasciata sola, la mattina presto. E' il compimento di
un cammino di tredici mesi.. e quasi non me ne accorgo, tanto non vorrei
lasciarla. Il Qui ed Ora mi annichilisce. I tuoi amici? Le ragazze?
Tu lo sai, lo hai sempre saputo, c'è una sola persona che ti resterà
sempre accanto, e quella sei tu. E tu sei già qui. I ragazzi
di prima mi salutano, ci stringiamo le mani, si avviano in discesa, e la
loro corda s'impiglia - una costante, parrebbe. Il secondo ride e torna
su di un metro a scioglierla. Altri libri da scrivere? Per cosa, poi?
Tu conosci o conoscerai le cose che vi saranno scritti, i posti che
descriverai. Ti interessa tanto lasciare una traccia di te, provare che
sapevi andare in montagna o leggere una carta? Tu sai già le
cose che vi descriverai, e tu sei qui. Ora. Il vento, ed il momento, girano su sé stessi in
modo quasi visibile... Fede si rialza, la sua cuffia da snowboard a
livello del mio mento, è già sull'imbocco della piccola rampa che
conduce in vetta. Mi guarda e comincia a parlare della discesa, vuol
fare tutto con calma, con prudenza, preferisce che io stia dietro e lo
assicuri alle rocce, come prima.. Il momento gira e sono di nuovo
io. Il resto, miei lettori, lo conoscete già, o lo
conoscerete presto anche voi salendo da queste parti. Discesa tranquilla
e senza storia al Colle Gnifetti che, con il bel
tempo, è il più bel e vasto balcone possibile, per chi ritorna da
spazi così angusti: la neve è compatta e dura come cemento, quasi i
piedi non lasciano orme, si potrebbero fare capriole quassù. Poco prima
di scendere, Federico mi scatta una delle rarissime fotografie in cui io
appaia, a mio parere, degno d'essere ripreso: contento, abbronzato, un
ghigno piratesco ed il mondo alle spalle, nel vento. Arriviamo
alle 10.40 alla Punta
Gnifetti, entrando nel rifugio di cui, da almeno mezzora, bramavo il
caffé: mi arriva un bicchiere di plastica contenente la mia dose
milanese giornaliera!, almeno quattro volte superiore la modesta tazzina
cui aspiravo. Nella stanza, poco dopo aver firmato il libro di vetta
(ovviando, tra l'altro, ad una dimenticanza dell'agosto 2008) giungono
Rudy e clienti, ed il clima diventa immediatamente più allegro;
qualcosa o qualcuno, durante gli ultimi facili metri di salita alla
Margherita, mi ha lasciato andare. Vai
alla Galleria fotografica- Vai a GPS Qui finisce la nostra avventura, perché ormai
cosa servirebbe aggiungere che siamo partiti a malincuore alle 11.50,
rientrando alle 13.50 al Mantova, alle 16.00 nelle nebbiose vicinanze
dei Salati? Forse, però, potrei concludere con un quieto
monito: è bene inseguire i propri sogni, poiché sono i soli a rendere
una vita degna d'esser stata vissuta... Ma è spesso pericoloso perdersi
dietro alle chimere, che siano metà donna e metà pesce, che siano
montagne, che siano percezioni ingigantite e distorte dalla nostra
mente. La Ragione, in fondo, è tutto quel che abbiamo per restare ben
lontani dal baratro di ignoranza, violenza, stupidità e superstizione
in cui bruciano ancora le luci di migliaia di roghi, in cui
stridono le ruote dell'Inquisizione o s'immolano prigionieri nemici a
Tenochtitlàn. In cui Falluja brucia nel fosforo bianco ed il Darfur
viene relegato ad un massacro di serie B... A colui
che ignaro s'accosta e ascolta la voce delle Sirene, mai più
la moglie e i figli bambini gli sono vicini, felici che a casa è
tornato, ma le
Sirene lo incantano con il limpido canto, adagiate sul prato...
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