Monte Ciosé Alto 2647 metri e posto
immediatamente a nord del Colle della
Ranzola (2170) lungo la dorsale intervalliva Ayas- Gressoney, il
Ciosé si trova tra il vallone di Staller (sul quale s'innalza la sua
parete settentrionale) e la zona ad oriente dei 1815 metri di Estoul. E'
una cima rocciosa caratterizzata da ripidi pendii erbosi, chiamata in
Gressoney Staller Horn oppure monte Chose, Tiosé;
secondo Mario
Aldrovandi, nel 1966, un altro toponimo sarebbe stato quello di Kiogé.
La sua cresta settentrionale, lunga un chilometro e mezzo, conduce per
gendarmi e salti di roccia ai 2526 metri della Bocchetta
di Eclou. Dalle pendici occidentali del monte sgorga il Torrent
Reine. E' una cima poco frequentata e priva di sentieri; la salita
avviene usualmente dal valico sottostante, cui scende la cresta sud dopo
alcuni salti rocciosi. Vai
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E' doveroso sottolineare come
questa montagna sia da riservarsi ai soli escursionisti esperti e
veramente motivati ad affrontarla. I suoi pendii erbosi più elevati
–uniti, in modo minore, ad alcuni fronti di frana da attraversare- la
rendono inaccessibile per chiunque non possieda grande esperienza e
sicurezza nel passo; in caso di pioggia, ghiaccio o neve, la salita deve
considerarsi non realizzabile o assolutamente inopportuna. Ne verranno
descritte le modalità d'accesso ai pendii sommitali, alla cresta ed
alla vetta unicamente a scopo informativo –soprattutto per evitare
spiacevoli sorprese agli escursionisti ignari delle peculiarità del
Ciosé; la salita a questa montagna è, in definitiva, sconsigliata. Il percorso per il monte Ciosé è, come anticipato, privo di sentiero. Occorre innanzitutto raggiungere i 2170 metri del Colle della Ranzola, mediante l'itinerario turistico numero 7 che dai 1815 metri di Estoul conduce al valico su carrabile e sentiero. Raggiunto il colle, voltandosi a sinistra dietro al vecchio oratorio abbandonato, si scorge la breve continuazione dell'antico muretto a secco eretto durante le guerre napoleoniche dalle truppe russe ed austriache: punta la cresta meridionale del Ciosé, tra radi pinastri, prima di perdersi. Qui sale una traccia ormai cancellata, poco più larga di uno scarpone e costantemente in procinto di smarrirsi tra la foltissima vegetazione: tra svolte e smarrimenti si risale il primo tratto della cresta meridionale, alzandosi sopra il Colle, tra erba e gineprai. L'antico sentiero punta la prima, grande balza rocciosa della cresta, contraddistinta da alberelli e licheni gialli, arrivando proprio ai piedi della roccia, a 2360 metri (rilievo GPS). Qui però si perde inspiegabilmente: sulla destra, un canale erboso con pendenza di 65° cade –è il caso di affermarlo- su Gaby e sul relativo lago artificiale, mentre a destra il pendio ayassino è forse meno ripido ma ugualmente inaccessibile. Occorre scendere di qualche decina di metri, alla volta di alcuni massi sottostanti la balza rocciosa: qui si piega a sinistra in forte pendenza e, badando di non scivolare sull'erba o sui sassi nascosti, si guadagna la pietraia sul versante ovest. Dalla pietraia si alzano in direzione della vetta –nord- nordovest- continui dossi erbosi declinanti sulla sinistra, attraversati lateralmente da più fronti franosi e canalini detritici. Nella pietraia e nel prato soprastante si rinvengono alcuni bassi ometti di pietra, mentre si sale in costa lasciando la cresta meridionale del Ciosé alla propria destra. Gli ometti conducono ad un primo fronte franoso, vecchio e piuttosto stabilizzato, sui 2400 metri circa: lo si valica prestando attenzione ai buchi nascosti dai ginepri. Poco oltre, risalendo i prati in pendenza lievemente accentuata, si traversa un secondo fronte di frana, più instabile e più ampio, sui 2425 metri di quota; un terzo fronte si presenta a 2480 circa, ancora più esteso. Il valico di questo ultimo tratto di pietre e massi, alcuni instabili, ci porta ad un ultimo pendio erboso, sensibilmente più erto (2500 metri circa). Da qui in poi la salita si complica decisamente, assumendo quelle difficoltà per via delle quali viene sconsigliata da Varasc.it: la forte pendenza del declivio, l'erba pungente e "pettinata" all'ingiù, l'impossibilità di scorgere chiaramente i prossimi appigli sembrano indirizzare verso un evidente canalino parzialmente detritico, proprio a causa della sua maggiore visibilità. Grosso errore: il canalino sale con inclinazione di 50° e fondo di sfasciumi completamente instabili, mentre ai suoi lati salgono gli stessi, ripidissimi e scivolosi pendii d'erba a ciuffi. Solo con molta pazienza e prudenza si percorre il canalino, oltretutto molto pericoloso per chi segue al disotto: alcuni tratti, pur essendo su erba e sassi, richiedono grande concentrazione. Superato il canaletto si accede alla cresta sommitale, a sua volta decisamente inospitale: continue roccette rotte ed affilate, abrasive e disposte senza logica apparente, facili all'inciampo. Il forte vento porta ad abbandonare la cresta in favore dello strettissimo e scivoloso lembo d'erba ai suoi piedi, sulla sinistra: si procede abbarbicati alla roccia fino ad una pietraia sconnessa che premette alla vetta vera e propria. Qui campeggia un vecchio totem di pietra; a dispetto della salita così snervante, il panorama è molto piacevole, con lo Zerbion, il Corno Bussola, il Monte Bieteron e la Punta Guà ad ovest. Più a nord si scorgono il Corno Vitello e la Testa Grigia, mentre a sud la Punta Regina, il monte Rena, il Taille. A sudovest la Testa Comagna ed il Colle di Joux. La discesa si presenta ancora più difficile ed allucinante: i pendii sottostanti la vetta sono assolutamente improponibili, resi antipaticissimi sia dalla loro pendenza sia dalla costante abitudine di nascondere alla vista ciò che cela il prossimo ciuffo d'erba pungente. Con grande prudenza si traversa obliquamente fino a raggiungere il canaletto incontrato in salita, affrontando prima un ulteriore canalino meno visibile e caratterizzato da lisce roccette degradanti. E' con sollievo che si valica il canalino sui 50° guadagnando la pietraia retrostante, vale a dire il terzo fronte franoso incontrato durante l'ascesa: in molti tratti si sente la forte mancanza della propria piccozza, addirittura! Per quanto concerne la tempistica –pure, tra tante difficoltà, puramente indicativa- ecco i dati riportati durante l'ascensione di Varasc.it di giovedì 10 agosto 2006. Partiti alle 09.48 dall'alpe Fenetre (2080) abbiamo raggiunto alle 10.15 il Ranzola lungo il sentiero 7, con bel tempo. Alle 10.22 siamo partiti dall'oratorio abbandonato verso la cresta, raggiungendo alle 10.50 la balza rocciosa sotto la quale termina l'esile traccia. Per le 11.10 eravamo scesi sulla pietraia del versante occidentale, arrivando al primo fronte franoso alle 11.20 ed al secondo per le 11.27. Il terzo fronte è stato raggiunto alle 11.38 e valicato alle 11.48, a circa 2500 metri di quota. Per le 12.30, dopo l'ultimo, osticissimo tratto, eravamo in vetta al ventoso monte Ciosé; ripartiti alle 12.37, abbiamo lottato fino a superare il canalino alle 13.32, tornando sani e salvi al Ranzola alle ore 14.25. Ripartiti infine per le 15.01 dopo aver pranzato sul versante gressoniardo, siamo tornati alle 15.24 all'alpe Fenetre o Finestra. In conclusione, ecco una cronaca doverosa
dal punto di vista illustrativo ed informativo, che però
non vuol certo
spingere all'imitazione della nostra salita.
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