Cappella di Saint Maxime

 

Posta in luogo appartato e tuttavia poco distante dalla SR45 che risale la Val d'Ayas da Verrès, la bella ed antica cappella di San Massimo sorge a circa 900 metri di quota, circondata da pascoli verdeggianti e folte rovelle. Essa si trova a poca distanza da Châtaignère, tra gli abitati di Viran e Corliod, nel Comune di Challand-Saint-Victor, schiva del chiasso e della pubblicità in loco romantico e placido, come commentò Ugo Torra nel 1963. E' inoltre toccata da una bella strada recentemente asfaltata e poco frequentata, che corre in costa alla volta di Châtillonet, di cui si intravede il Santuario di Sant'Anna. La cappella è dominata ad oriente dai contrafforti boscosi di grandi vette, tra cui primeggia la Becca Mortens; il Valloncello di Trön, del resto, è quasi parallelo alla zona in cui sorge l'edificio sacro, sull'opposto versante dell'Evançon. Ad occidente, dolci declivi prativi e boscosi salgono invece fino al ben più modesto Mont de Ros. Raggiungere la cappella permette di realizzare una bella passeggiata in semipiano di circa dieci minuti, per quanto il suo accesso inferiore non sia segnalato e dunque relativamente difficile da individuare; tale partenza è posta direttamente sulla SR45 in località Viran, sulla sinistra per chi sale da Verrès, semicelata da un'ampia abitazione a più piani. Lo spazio per il parcheggio è ristretto e riservato ai proprietari della casa; si consiglia dunque di lasciare la vettura a Châtaignère, per quanto disagevole possa rivelarsi camminare lungo l'affollata strada principale.

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Velata sul lato orientale da alte rovelle, la cappella di Saint Maxime si presenta come una piccola e candida struttura rettangolare, chiusa da un abside tondeggiante ed orientata secondo le antiche regole, nelle parole del Torra. Sulla sua facciata - al disopra della porta e delle due piccole finestre, di cui una parzialmente rotta - campeggiano pregevoli affreschi della Madonna e del Bambino, di San Michele armato di spada e bilancia, Sant’Antonio Abate e di un santo ignoto, in paramenti sacerdotali, che sorregge con il braccio sinistro un volume (forse Sant’Orso). Ai piedi del terzo e più ampio affresco esteriore, raffigurante la Madonna, si scorge ancora una scritta parzialmente rovinata, Hoc opus fecit fieri. Il nome che certo seguiva, vale a dire la firma dell'artista, è ormai perduto. Originariamente priva di volta, con capriata scoperta, la cappella venne provvista in seguito di un soffitto a volta in legno, che tagliò alcuni affreschi, relegandoli al solaio. Il soffitto in legno attuale, recente, fa parte degli interventi di restauro della cappella, tra cui la creazione di un basamento in cemento alle spalle dell'abside, prima assente.  

Aux amateurs d'antiquités on conseille une visite au vieux  Château de Villa - Challand et à l'antique chapelle de St. Maxime, ricordò l'abate Louis Bonin nel 1928, precisandone il toponimo in patois locale, Saint Mémo. L'oratorio è certo più antico della forma attualmente visibile, risalente al Quattrocento. La cappella venne citata come dipendente dalla Collegiata di Saint Gilles di Verrès in una Bolla pontificia del 1206 e, ventuno anni più tardi, dal Conte Tommaso di Savoia. Nel Seicento la piccola cappella funse addirittura da chiesa parrocchiale per Challand-Saint-Victor; era certo affiancata da un ben più antico cimitero, poiché esistono rapporti inerenti a resti umani scoperti nei pascoli immediatamente circostanti. L'Abbé Joseph-Marie Henry raccontò nel 1929 come gli abitanti di Issime, peraltro provvisti di una stupenda chiesa (!), salissero fino al Colle di Dondeuil e scendessero all'alpe Cialesch (Chalex) per assistere da lontano alla messa celebrata nella cappella di Saint Maxime: Dans la vallée de Challant existaient déjà les églises de Brusson et d'Ayas, au sommet de la combe. Le premier édifice religieux, construit dans le centre de la vallée, fut la chapelle de Saint-Maxime qui existe encore aujoud'hui. Elle servit plusieurs siècles d'église paroissiale aux fidèles des deux Challant, avant qu'ils eussent leur paroisse respective.

(...) Ce saint Maxime, saint Mimo, est le premier évêque de Turin, mort en 466. Cette chapelle de Saint-Maxime fut rebâtie en 1441. Les peintures qui l'ornent encore aujourd'hui n'ont pas une bien grande valeur artistique, mais elles présentent un vif intérêt: on y voit le Sauveur assis et bénissant saint Maxime, saint Sigismond tenant le sceptre royal entre ses mains, saint Germain, sainte Anne avec la sainte Vierge, saint Michel, saint Jean-Baptiste, les douze Apôtres.

Questo piccolo capolavoro artistico venne, come naturale, dotato nel corso dei decenni di un nutrito scibile. Cette Chapelle, la plus ancienne du pays, peut présenter quelque intérêt, sous le rapport archéologique, riprese Bonin, indicando come risalenti al 1465 gli affreschi della facciata: in realtà una data collocata sull'abside riporta al 1441, anno in cui la cappella venne ristrutturata ed abbellita con la realizzazione degli affreschi presbiteriali da parte di Giacomino di Ivrea o Jacobinus da Ypporegia, ancora legato a motivi tardo-gotici ed attivo in Valle d'Aosta fino al 1463. Secondo la storica Augusta Lange, il pittore proveniente da Bollengo lavorò anche per il ricco notaio Saluard nel 1440 a Verrayes e per la chiesa parrocchiale di Saint Vincent, nel 1445, ricevendo inoltre il prestigioso incarico inerente al cortile di Fénis, da parte di Bonifacio II di Challant. Pur definito di modeste capacità espressive da Sandra Barberi e Daniela Vicquéry nelle pagine de La terra degli Challant, egli realizzò un piccolo capolavoro. Estremamente suggestivi l’abside interno e l'arco trionfale, affrescati a vivaci colori. Il catino absidale reca una sorta di forma ellittica con un grande Cristo assiso sul trono celeste; sul volume aperto nella mano sinistra si legge la scritta Ego sum lux mundi, nonché Anno domini MCCCCXXXXI. Le immagini, riprodotte da monsignor Edoardo Brunod, riportano anche le ritraggono anche il monogramma di Cristo, il sovrano Sigismondo ed il santo vescovo Massimo; il re è evidentemente ritratto come riferimento all'abbazia di San Maurizio d'Agauno. Le figure dei dodici apostoli, prossime all'Assiso, vennero tuttavia rimaneggiate nei secoli seguenti; Ugo Torra commentò difatti (...) purezza e qualità degli affreschi originali non rimangono certo; essi si presentano oggi a noi purtroppo «restaurati» o meglio completamente rovinati. Dello stesso parere anche Renato Willien, che scrisse addirittura come questi affreschi fossero stati (...) rimaneggiati da un incompetente e di conseguenza hanno perso l'antico valore.

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La cappella, attualmente, è Monumento nazionale. Spoglia e vuota a parte il piccolo altare in pietra sottostante l'arco trionfale, il pavimento ingombro di calcinacci, essa era un tempo fronteggiata da un masso coppellato citato da Claudio Garavoglia ne “Da Verrès al Monte Rosa. Un viaggio in bianco e nero”. Saint Maxime è stata recentemente oggetto di una importante analisi da parte di Lorenzo Appolonia, Valentina Chatel e Davide Vaudan del Laboratorio di Analisi Scientifiche della Regione Valle d'Aosta, di Maurizio Aceto del Centro Interdisciplinare per lo Studio e la Conservazione dei Beni Culturali dell'Università del Piemonte Orientale e di Piero Mirti, membro del Dipartimento di Chimica Analitica presso l'Università di Torino. La ricerca, pubblicata dalla Casa editrice Springer Berlin / Heidelberg nel numero di dicembre 2009 della rivista Analytical and Bioanalytical Chemistry, si intitola Combined use of FORS, XRF and Raman spectroscopy in the study of mural paintings in the Aosta Valley (Italy). In seguito alla pubblicazione del pregevole lavoro si è appreso che gli affreschi creati da Giacomino da Ivrea erano basati su pigmenti di calcite, malachite, vermiglio, oltre ad ocra di colore giallo e rosso; si è inoltre scoperto l'uso di grafite nei pigmenti di colore nero. Per le aureole degli Evangelisti è stata utilizzata lamina di stagno, o stagnola.

 

 

 

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