Situato lungo il corso della Dora, ad un’altezza media di 406 metri, Montjovet è attualmente uno dei nove comuni (insieme ad Ayas, Arnad, Brusson, Challand-Saint-Anselme e Saint-Victor, Champdepraz, Issogne e Verrès) che compongono la Comunità Montana dell'Evançon istituita dalla Legge regionale numero 54 del 7 dicembre 1998.
Il suo territorio non è parte della Val d’Ayas bensì della Valle della Dora; situato tra i Comuni di Emarèse, Champdepraz, Verrès, Châtillon e Challand-Saint-Victor è unito a quest’ultimo centro abitato ayassino dalla moderna strada che, via Grand-Hoel, raggiunge il Colle d'Arlaz.
L’estensione del territorio comunale di Montjovet consta di quasi 19 km. quadrati, per un numero di hameaux e villaggi senza pari nell’intera regione aostana (circa cinquanta). Vi pervengono e ne dipartono l’autostrada A5, la SS26, la linea ferroviaria proveniente da Chivasso. Anticamente, queste linee di comunicazione erano premesse dalla Via consolare delle Gallie. Montjovet, insieme ad Arnad, Verrès, Issogne, Hône, è da secoli terra di nobili vini, tra cui si ricorda oggi il DOC Vallée d’Aoste Arnad-Montjovet, prodotto dalla cooperativa La Kiuva, basato principalmente su vitigni Nebbiolo, Dolcetto, Pinot Nero, Neyret, Freisa, Vien de Nus. Un importante aggiornamento relativo al maniero di Saint-Germain, risalente al 15 novembre 2009, è disponibile in calce a questa pagina; nel numero 52, anno 2011, la rivista Environnementha invece pubblicato l'interessante articolo I forni di Montjovetdi Ivo Surroz, relativo al Moulin d'Arlaz ed al Forno e Torchio di Reclou.
Preistoria ed analisi toponomastica
Montjovet, che sembra sbarrare la strada a chi giunge dalla pianura..
Carlo Passerin d’Entrèves
Antichissima ed affascinante è la storia di questa terra, eterno punto obbligato di passaggio, che nel corso dei millenni ha visto il transito, l’emigrazione e la fuga di innumerevoli popoli, formazioni militari, pellegrini, commercianti. Prima dell’arrivo umano Montjovet era sepolta dall’inimmaginabile ghiacciaio Balteo proveniente dal Monte Bianco. Durante la glaciazione wurmiana, esso si estendeva in larghezza dalla Becca Torché all’Avic, al disopra del profondo solco della Dora e della linea intervalliva composta dal Mont Conge, dal Monte di Saint Gilles, dal Mont de Ros, dal Mont d’Arbaz o Mont Obré. Una spaventosa estensione superficiale di circa dieci chilometri, secondo il Novarese; dopo una pausa di circa 4000 anni, una volta scomparso il mostruoso ghiacciaio, la Dora cominciò lentamente ad erodere quella che, in futuro, divenne la gola o Verrou di Montjovet e che in precedenza, nel Pleistocene, doveva mostrare una gigantesca, stupefacente formazione di scintillanti seracchi. Tale gola (la gola di Montjovet, in cui tuona schiumosa la Dora, come scrisse nel 1975 Renato Willien ne Valle d’Aosta) si estende per circa tre km a partire dalla località Bourg o Le Bourg, mutando verso sud il corso del grande fiume, in precedenza volto verso oriente; l’inizio dell’avventura umana individuò immediatamente in questo sito un punto ideale per il controllo del transito e la difesa, al punto da costruirvi ben due castelli.
Ancora oggi, il toponimo Montjovet sottolinea l’antichità di queste terre, derivando dall’unione della parola “monte” e del termine “giogo”, strettoia, jugum, o forse dal latino Mons Jovis, a sua volta ricordo di un antico tempio al Giove romano che doveva trovarsi nei paraggi dell’attuale cittadina. Ne fece cenno Jules Brocherel, ne Le Val d'Aoste del 1951: (…) Au- delà de Verrès, la route nationale longe la Doire, laisse sur la gauche Champ-de-Praz, avec son sauvage vallon de Chalame, et ne tarde pas à s’èlever en corniche, pour franchir les gorges de Montjovet, en contournant un mamelon rocheux, couronné par les ruines d’un fier château qui au moyen-âge remplaça l’oppidum romain, dédié au dieu olympien Jupiter, d’où est dérivé le nom du lieu.
Una radice toponomastica non particolarmente cara ai primi evangelizzatori della Valle d’Aosta, poiché tale retaggio archeologico venne mutuato in una serie di leggende, concordanti nel condannare il dio pagano Giove, reo di aver minacciato i contadini di Petit Monde (631 metri) e di Rodoz (1064) con smottamenti e frane. Giove sarebbe stato schiacciato contro una roccia a Barmataz o Barmas, ove ne rimase l’immagine. Non fu, ad ogni modo, il solo toponimo di questa cittadina: si va dal Monte Jovet o Giovet del cartografo Gastaldi, nel 1556, al Mongioveto del cartografo lombardo Settala, citato nella Carta del Ducato di Milano del 1570; in particolare, Jacopo Gastaldi fu il primo a ritrarre cartograficamente gli abitati di Montjovet, Verrès, Issogne ed Arnad. Anche Gilles Bouillon, nel 1556, ritrasse Montjovet, definendola Mon Jouet. Nel 1680, Giovanni Tomaso Borgonio pubblicò la Carta Generale de’ Stati di Sua Altezza Reale, citando M. Iouuet; nel 1707 divenne Monjouet per il cartografo De l’Isle, M. Jovet nel 1772 per Jacopo Stagnone. Altri toponimi, citati da Saverio Favre, furono Montis Jovis, Montsjovetis, Montejoveto. Nel 1824 Modesto Paroletti pubblicò a Torino una serie di litografie dedicate alle provincie occidentali dell’antica e moderna Italia, non mancando di ritrarre Monte Gioveto.
Tornando alla storia, presso Fiusey - tra Oley e Meran - vennero ritrovati nel 1909 alcuni siti funebri, appartenenti ad una necropoli, risalenti al periodo Eneolitico, ovvero al 3000 a.C. e probabilmente contemporanei dei famoso tumulo funerario di Vollon. C’est sur les territoires de Montjovet et de Villeneuve que furent découvertes deux importantes stations néolithiques, premetteva l'autore Andrea Zanotto. (…) La forme des tombes à cistes (composées d’un assemblage de grosses dalles), les objets (très rares d’ailleurs) qu’on y a retrouvés, la position des squelettes trahissant une inhumation secondaire, firent attribuer sans crainte d’erreur cette nécropole à l’âge néolithique. Sempre Zanotto ricorda che, (…) en 1913, en creusant le canale d’une centrale à Montjovet, fut retrouvée une belle hache en jadéite. Si è ipotizzata, sulla base delle testimonianze archeologiche, la presenza di insediamenti densamente popolati nell’età del Bronzo, probabilmente risalenti al secolo XI-X a.C., così come a Ciseran (abitato oggi posto a poca distanza da Emarèse) e Champérioux.
Il toponimo pare derivare dal nome latino Cesare. A Ciseran, presso l’abitato di Parey, è stato scoperto un grande muro a secco con circa venti sepolture risalenti al II secolo a.C., probabilmente di origine gallica, in prossimità della quale l’archeologo Carducci rinvenne una villa d’epoca romana. Vi si trova anche una tomba particolare, normalmente ricordata come sepoltura del Salasso di Mongiove, su cui mancano informazioni dettagliate. A Chenal si trovano incisioni rupestri probabilmente risalenti al Neolitico, a foggia di spirale e doppia spirale, di raro fascino; vi sono anche molte coppelle, “sorvegliate” da incisioni cruciformi, probabilmente risalenti al religioso Medio Evo. A Champérioux invece tornò alla luce nel 1934 un sarcofago accuratamente protetto da una nicchia nella roccia, oltre a più ritrovamenti di monete risalenti ai secoli I, III e IV d.C. Alcune fonti citano la tomba di una ragazza, risalente al II secolo. Lungo i percorsi per Rodoz e Gettaz si troverebbero altre incisioni coppelliformi.
La leggenda cristiana della punizione di Giove, quasi mutato in una sorta di demoniaca figura culturalmente e socialmente localizzata, non si avvicina nemmeno alla gloria tributata al vero Giove Ottimo Massimo dall’ampia fronte, adorato e riverito da milioni di cittadini, legionari e mercenari nei lunghi secoli trascorsi sotto l’egida di Roma. Gli abili artefici romani edificarono la citata strada delle Gallie o via publica che transitava da Arnad e da Verrès, passando per Montjovet; una capacità architettonica, logistica e pratica che rimase pressoché ineguagliata fino al lontanissimo 1771, quando per volere del sovrano Carlo Emanuele III venne scavata una deviazione nella roccia del Verrou, giustamente celebrata da una lapide, Caroli Emanuel III Sard. Regis invicti auctoritate. Intentatam Romanis viam per aspera Montis Iovis iuga ad faciliurem commerciorum et thermarum usum, magnis impensis patefactam Augustani perfecerunt a MDCCLXXI-Regni XLII. Un’opera ardita, mai osata dagli stessi romani; tuttavia, dal crollo dell’Impero al Settecento, il tracciato stradale si limitò pedissequamente a ripercorrere l’antica e quasi dimenticata via consolare; l’unica deviazione, nel XIII secolo, venne tracciata dopo un vasto smottamento in località Barmas, che seppellì la via consolare e probabilmente anche la chiesa parrocchiale. Particolarmente paventata era la Mongiovetta, salita nota come la più ripida tra Aosta ed Ivrea, che obbligava i postiglioni delle diligenze a far smontare i passeggeri per non stroncare definitivamente i propri cavalli da tiro. Nel 1675 vi transitò Daniel Monterin che, come ricordato da Maria Cristina Ronc, scrisse sdegnato molestus et difficilis tum ascensu tum descensu; tali proteste non dovevano essere infrequenti, se nel 1737 il Conseil des Commis optò per un ambizioso progetto di ripianificazione stradale, inizialmente varato, con scarso successo, nel giro di due anni. Solo nel 1764 la corte reale promosse la più sostanziale modifica mai tentata, terminata nel 1771. Il 7 agosto del 1944, come narra la celebre penna di Carlo Passerin d'Entreves, una mina partigiana sventrò un ampio tratto di strada prospiciente all’incisione del 1771, per bloccare gli spostamenti delle colonne motorizzate nemiche.
Il periodo medievale. Il castello di Saint Germain
Da giugno 2010, ulteriori spunti di analisi sono offerti dalle fonti testamentarie medievali recensite da Varasc.it; nel novembre 2011 è stata inoltre pubblicata una ricca sezione inerente alle Bolle Pontificie relative alla Val d'Ayas.
La poderosa giogaia naturale di Montjovet, nel periodo medievale, portò anche ad un lucroso mercato basato sull’accoglienza in ostelli e locande, eredi delle antiche stationes romane, protette non più dalle mura dei singoli castra bensì dalla vigilanza incessante dei manieri di Chenal e Saint Germain, riportati all'antico splendore dal magnifico volume di Francesco Corni. Un esempio concreto ne fu Le Bourg. Non a caso, nel Medio Evo, la via principale transitava tra i due castelli, figura allegorica ed al contempo materiale del potere feudale. Il lascito romano, superato il buio abisso secolare successivo al crollo della civiltà dei Cesari, passò alle signorie medievali. Proprio sui resti di uno dei tanti castra a protezione dell’ormai scomparsa via consolare venne costruito, nel XI secolo d.C., il castello di Montjovet a circa 609 metri di quota; suoi artefici furono i potenti signori della dinastia De Montjoveto, o Montejoveto. Alcuni antichi testi, databili dal 1250 in poi, indicano i due castelli come proprietà di Bermondus Philippus de Montjoveti. Le comté de Montiovet n’etoit autrefois qu’une simple seigneurie composée du bourg et paroisse de Saint- Vincent, une des plus entendues et meilleures terres du pais, la quelle seule faisoit la moitié de ce mandement,scrisse il grande storico Jean- Baptiste De Tillier, scomparso nel 1744. Due potenti dinastie erano originariamente presenti sul territorio. La premiere etoit appellée du nom de Chenal, la quelle avoit son chateau ou soit maison forte postée sur un haut rocher tout a fait escarpé du costé du levant, dont les mazures sont encor auiourd’huy appellées du nom de “Chateau neuf de Chenal”, le quel à eté demoli du temps de guerre du 1540 et autres suivantes. La seconda famiglia, secondo il De Tillier,avoit son chateau ou soit maison forte sur la crouppe du roc qui domine sur le grand chemin, appellé Montiovet, et qui donne le nom au reste du mandement.
Il principale castello di Saint Germain venne ceduto nel 1274 ai Savoia e, nel 1295, alla famiglia Challant: Andrea Zanotto, nell’eccellente opera Castelli Valdostani, ne sottolinea l’inaccessibilità se non dal lato settentrionale, il più protetto dalle incursioni proveniente dalla piana piemontese, a sud. Ben visibile dalla distanza, cupamente arroccato sulla Dora, questo maniero presenta tuttora un poderoso donjon alto circa 20 metri, quadrato e palesemente appartenente all’architettura difensiva più remota (secoli X-XI). Il complesso risulta oggi diroccato, ma permette ancora di intravedere alcuni interessanti dettagli, figli di un’esigenza strettamente militare, non certo estetica: l’accesso al castello che obbligava a porgere il proprio fianco alle armi poste sugli spalti, la via accuratamente posta a tiro delle mura, provviste di cannoniere al posto delle usuali feritoie.
Proprio queste cannoniere, le lesene ed il bastione con cordonatura a toro vennero aggiunti nel secolo XVI, a causa degli incalzanti progressi dell’artiglieria; da più fonti si evince l’importanza strategica di questa fortezza, accuratamente munita fino al XVII secolo e precisamente al 1661, come vedremo. Giuseppe Giacosa ne Castelli Valdostani e Canavesani paragonò questo castello ai manieri primitivi risalenti ai secoli X-XI, (…) di Montalto, di Settimo, di Cesnola, di Castruzzone, di San Martino, di Bard, di Challant, di Graines, di Nus, di Jovençan, di S. Pierre, di Châtel Argent, di Montmayeur, di La Salle e d’altri forse che dai successivi riattamenti ebbero cancellate le traccie della originaria struttura.
E cioè, strutture difensive semplici, nate in epoche cruente, sulla costante minaccia del fuoco e della spada: (…) una rozza muraglia di non grande spessore correva intorno alla cresta rocciosa segnandone gli anfratti. Nello spazio così circoscritto, ora nel mezzo, ora da un lato, ma non mai sul filo della cinta, sorgeva una torre, per lo più quadrata, alla quale non sempre si appoggiava un piccolo, tozzo, massiccio corpo di casa. Sempre Giacosa ricorda: (…) Anche a Montjovet ed a Châtel Argent si trovano nella costruzione, frammisti al rozzo pietrame, molti materiali romani, segno certo che ivi già sorgevano, come ho detto, romane opere di difesa. Malgrado le parole del Giacosa, che rimandano a glorie antiche, questa struttura venne utilizzata e modificata nel corso dei secoli.
Il recinto interno ospitava, sulla sinistra dell’ingresso protetto da una massiccia antiporta, strutture destinate ai quartieri della guarnigione, mentre sulla destra si trovavano gli appartamenti nobiliari, introdotti da un archivolto scolpito. Il castello conserva una cisterna sotterranea con copertura a volta ed una piccola postierla sul lato settentrionale. La storia del castello di Montjovet è singolare. Uno degli esponenti della antichissima famiglia De Montjoveto, tale Feidino, Feydinus - come ricorda Renato Willien, Faidinus dominus medietatis Montisjoveti – o ancora Feidinus Montisjoveti, nel 1261, citò il proprio maniero nell’omaggio feudale ad Amedeo V, documento redatto, curiosamente, insieme ad Ebalo di Challant. Feidino divenne tristemente noto per un eccessivo ed esageratamente entusiastico ricorso alla pratica della riscossione del pedaggio, prerogativa signorile.
Nel 1270 le forze comitali di Filippo di Savoia colsero l’occasione di tali estorsioni per conquistare l’ambito e strategico castello, restituendolo inaspettatamente a Feidino dopo alcuni anni, moyennant soumission de fidélité-lige. Ancora più singolarmente, nel 1295 Amedeo V di Savoia costrinse il vassallo a cedere il feudo mongiovese, relegandolo nella remota terra canavese di Coazze; secondo Willien, invece, il feudo sarebbe stato ripreso da Amedeo V solo alla morte di Feidino, il quale lasciò dietro di sé una cupa reputazione, ma non figli maschi. Lo stesso conte sabaudo coinvolse Montjovet, appena conquistata, nella gigantesca ed importante opera di “baratto” politico organizzata per ottenere la signoria aostana. Montjovet è la fortezza che Ebalo di Challant ottiene da Amedeo V rinunziando in cambio al titolo di Visconte di Aosta e cedendo ai Savoia il governo di questa città, scrisse Carlo Passerin d’Entrèves: Montjovet passò difatti ad Ebalo Magno di Challant, solo per tornare ad Amedeo VIII il 10 febbraio 1438, per cessione da parte di Francesco di Challant, che lo storico Vescovi dipinse senza mezzi termini come stracarico di debiti, debiti contratti, in qualità di buon padre, per fornire una possente dote alle quattro figlie, Bona, Antonia, Caterina e Margherita. I Savoia proiettarono il maniero nel Rinascimento, adottando moderne fortificazioni a bastione, cannoniere e così via.
Nel 1642, ormai, il maniero era presidiato solamente da sei uomini. Nel 1661, così come accaduto alla poderosa rocca di Verrès, il castello venne accuratamente spogliato di armi e strutture difensive per volere di Carlo Emanuele II, convogliate presso la fortezza di Bard; in tempo perché Giuseppe Giacosa potesse tristemente commentare che I castelli di Châtel Argent e di Montjovet, sono ridotti a così estremo grado di rovina che non ci permette di rappresentarcene i successivi aspetti. Oltre alle affascinanti rovine, concorrono nel ricordo anche alcune leggende; una di esse riguarda due giovani donne rinchiuse nelle segrete del maniero, probabile eco di un lontano fatto di cronaca, forse addirittura di uno dei tanti e dimenticati abusi commessi da Feidino. La leggenda vira quindi sul fantastico e, accordandosi ad un canone già noto e diffuso (il tesoro accessibile solo in certi magici periodi dell’anno) narra che il valentuomo desideroso di salvare le donzelle dovrà presentarsi, armato di coraggio e determinazione, nella notte di Natale. Al presentarsi delle due recluse, stranamente poco collaborative nei confronti del salvatore!, l’eroe dovrà sottrarre dalla bocca della sua futura sposa la chiave del portone del maniero, proprio al suono del Gloria natalizio; l’evanescente pulzella diviene quindi una fiera, prima leone e quindi lupo, mutandosi infine in vitello. Pare che ad ogni manifestazione animalesca occorra introdurre la chiave in bocca alla fiera; il vittorioso sfidante potrà sposare la propria bella, salvare entrambe le ragazze, accedendo en passant ad una vera cornucopia di beni e ricchezze.
In appendice, citiamo un interessante caso di politica estera per la casa di Challant, un caso che inerisce direttamente il vicino Biellese. Il fertile territorio circostante Biella, nel Trecento, era rivendicato dalla casa sabauda e da Gian Galeazzo Visconti: in questa lotta per il potere si inserì la cupa figura del vescovo di Vercelli, Giovanni Fieschi, erede dell’antica famiglia di Cavi di Lavagna. Signore del Biellese, l’alto prelato si rivelò un disumano despota, più che un pastore di anime; indice della tensione che lo contrapponeva al ‘gregge’ umano furono le accurate fortificazioni del maniero di Zumaglia. Tentativo giustificato dall’insurrezione popolare del 1377, ma vano: i biellesi conquistarono il castello di Zumaglia e, furibondi, rinchiusero il Fieschi. A porre rimedio alla surreale situazione fu Ibleto di Challant, valente e rispettato Capitano Generale di Piemonte e podestà di Ivrea, che non esitò a far ragionare la folla - probabilmente più incline ad una soluzione drastica del problema - ed a farsi garante del Fieschi. Così, il vescovo di Vercelli venne portato in custodia presso il lontano castello di Montjovet, liberando infine gli onesti cittadini biellesi, che optarono per un avvicinamento all’influenza sabauda, nel 1379. Secondo castellano di Zumaglia, dopo Besso Taglianti, fu il valdostano Giovanni de Arlie, di Donnas.
Ma è Carlo Passerin d’Entrèves a narrare il finale dell’insolita vicenda: (…) Amedeo VIII dà l’incarico ad Ibleto di Challant di prendere in consegna il Fieschi ed il Challant lo trae dalla sua prigione e con tutti i riguardi dovuti al suo rango di Principe della Chiesa (…) lo conduce con sè in Valle d’Aosta dove gli mette a disposizione il suo castello di Montjovet.Carlo Passerin d’Entrèves, dopo aver narrato il particolare del vescovo catturato con la sola camicia indosso, precisa meglio il carattere dell’ospitalità di Ibleto: (…) il Prelato (…) un bel giorno cercò di evadere; ma le guardie di Ibleto dopo di averlo facilmente raggiunto ancora prima di Bard, lo riportavano sotto buona scorta nella fortezza.Una insolita veste carceraria viene dunque dipinta sulla bella regione valdostana, con la precisazione finale: Clemente VII, prevedibilmente, mediò il rilascio del proprio vescovo, richiamandolo a Roma con l’assoluto divieto di sfiorare le terre biellesi così a lungo predate. Ibleto morì invece il 21 settembre 1409, lasciando il castello e la signoria di Montjovet a Francesco, suo figlio, dal 1424 conte di Challant.
Il castello di Chenal
Il secondo maniero della zona è, appunto, quello di Chenal o, come scrisse ancora Willien, Chinal: un toponimo derivante dal cognome di una importante famiglia nobiliare della zona, il cui ultimo signore, Filippo, concesse saggiamente la propria figlia Alexia o Alessia ad Ebalo di Challant. Il castello sorge a nord del maniero di Saint Germain ed immediatamente sopra, ed a sud, di Chenal e di Champérioux, a 650 metri di altezza. Viene indicato da più fonti come una sorta di caserma, in favore del vicino maniero di Montjovet, oppure come punto di segnalazione verso i manieri di Cly e di Ussel. Attualmente, ne rimangono solo i muri esterni, di spessore pari ad un metro; la sagoma, vista anteriormente, ricorda vagamente per collocazione ed aspetto i ruderi del castello di Villa - Challand. Si tratta di un massiccio castello più rettangolare che trapezoidale, dotato di ampie feritoie ed un bell’archivolto in pietra ad abbellire la porta d’ingresso; non rimane quasi traccia dell’antica torre, che doveva essere massiccia e simile al mastio di Montjovet, ma si notano ancora due ampi saloni.
Nel 1323 Ebalo Magno di Challant, nelle disposizioni testamentarie, lo lasciò in eredità ai propri figli, indicandolo semplicemente come chateau neuf de Chinal. La struttura venne parzialmente demolita nel 1540, secondo Jean- Baptiste De Tillier; oltre alle rovine ivi descritte, il castello vanta un piccolo tesoro naturale, la pulsatilla, che la tradizione popolare riconduce al frutto di una strega o maga particolarmente versata per la botanica. La donna, impietosita dalle suppliche dei popolani di Emarèse terrorizzati dall’assedio dei lupi, creò misericordiosamente in un solo inverno la pulsatilla o fiour dou Lou, dotata del potere di scacciare queste fiere.
L’abitato di Montjovet
Oggi, Montjovet conserva alcune pregevoli ed interessanti abitazioni d’epoca, su cui si sono concentrate le attenzioni di più autori. Una casa del XVI secolo riporta ancora un ex voto di Pietro Pasquettaz, risalente al 10 novembre del 1874. Andrea Zanotto ricorda una casa cinquecentesca con portale gotico ed ampi locali voltati, forse rimesse per cavalli – numero civico 69 – 71 -, recante la data 1565. Verso la fine dell’Ottocento, durante la costruzione della sede ferroviaria, fu adibita ad Albergo degli operai della strada ferrata, da Ivrea ad Aosta, di tali Guidetti ed Aimino. Particolarmente interessanti e raggiungibili a piedi, su strada, sono le frazioni Vervaz e Brun, la prima panoramica sul corso della Dora.
La Parrocchia della Natività della Vergine Maria
L’attuale struttura domina la statale 26 ed il solco della Dora, sopra e ad oriente dello storico pub-ristorant e Il Nigra a Montjovet; si tratta di un ampio edificio sacro a navata singola, rettangolare, provvista di un elevato campanile del 1832, separato dalla chiesa e dotato di cinque campane, tra cui una risalente al 1522, che porta una iscrizione, IHS – Santa Maria ora pro nobis – defende nos a fulgore et tempestate MCCCCCXXI,con raffigurazioni. Si nota anche una labile meridiana, oltre al moderno orologio, sovrastati da quattro paritetiche monofore. La cuspide è piramidale. Appena prima e sotto la chiesa di trova un semplice monumento dedicato ai Morts pour la Patrie et la Liberténelle due Guerre mondiali, che fa eco ad un secondo monumento del Gruppo Alpini di Montjovet.
Monsignor Edoardo Brunod descrisse accuratamente le vestigia sacre di Montjovet, a partire dalla interessante storia delle sue chiese, alternativamente costruite e distrutte da frane o esondazioni della Dora. Nel Medio Evo, la chiesa parrocchiale era votata a Sant’Eusebio di Publey, come citato nella Bolla Pontificia del 20 aprile 1176 che si riferiva alla ecclesia sancti Eusebii de Plubeio posta presso la vicina località Vignola; vi sostò il vescovo Sigerico nell’anno 990, salendo da Roma a Canterbury lungo la Via Francigena. Nel XIII secolo, forse in seguito alla citata frana, la chiesa venne riedificata e dedicata a Maria; una seconda chiesa in località Savi, dedicata sempre a sant’Eusebio ed a San Leodegario o Léger, venne cancellata dall’esondazione della Dora nel 1586, come constatato dal vicario generale Maffei. Egli precisò che il letto del fiume aveva inglobato, incredibilmente, la sede della precedente chiesa e del suo cimitero, spazzando via ogni cosa. La parrocchia di Montjovet, riferisce il Brunod, era di libera collazione del vescovo di Aosta, ma venne ceduta da monsignor Ogèr Morisot, il 20 settembre 1433, alla prevostura di Verrès, unitamente alla parrocchia di Ayas, per ottenere in cambio la parrocchia di Aymavilles, votata a Saint Léger.
Nel 1832 si inaugurò il cantiere dell’attuale chiesa della Natività, consacrata il 3 maggio del 1837; oggi dispone di un sito Internet. All’interno, l’altare è sovrastato dalla grande scritta Salve Mater Misericordiae. La casa parrocchiale, retrostante alla chiesa, è decorata da un esemplare di glicine o Wisteria sinensis della considerevole età di 200 anni, esteso per più di cinque metri, come giustamente segnalato da una targa dell’Assessorato Agricoltura e Risorse naturali della Regione Autonoma, in base alla Legge regionale numero 50 del 21 agosto 1990. Sempre al 1990 risale l’ultimo restauro della chiesa.
Appena oltre la casa parrocchiale dipartono svariati sentieri. Si va dall’intervallivo 103 per Issogne al 2C, per il forno e torchio di Reclou e di Montat, il medesimo 2C per i Forni di Chambis e per il Colle d'Arlaz, a 2.50 ore di cammino. Montjovet consta anche della bella chiesa di San Rocco. Posta in posizione sopraelevata e panoramica sulla Dora, questa antica chiesa venne fondata nel XI secolo, dedicata a Maria. Venne distrutta e ricostruita nel maggio del 1700, dedicata a San Rocco; ospita un bell’altare del XVII secolo con colonnine tortili baroccheggianti.
Restano infine da segnalare due ospedali particolarmente riservati ai pellegrini, uno della frazione Plout di Montjovet, appartenente all’Ordine Militare di San Giovanni di Gerusalemme, erede degli antichi Ospitalieri e quindi dei Cavalieri di Malta. Secondo Reminescenze e vagabondaggi nella bassa Valle d'Aosta di Adolfo Colliard, l'ospedale venne fondato dal tolosano Raymond de Puy, partecipante alla prima Crociata e Gran Maestro dell'Ordine. Il 7 novembre 1654, tuttavia, i canonici del Gran San Bernardo ricevettero tutti i beni ed i possedimenti dell’Ordine Militare: alla voce Montjovet si trovò solo un riferimento alla cappella di San Giovanni a Plout, e non più all’ospedale. La stessa cappella non venne citata nella bolla pontificia di Benedetto XIV, risalente al 1732. Esistette un secondo e più antico ospedale - fondato il 25 novembre del 1309 - a Montjovet. Venne fondato dal parroco di Saint Germain, Jacques Rubini, e poteva dare accoglienza a due persone. La sua ultima traccia secondo Edoardo Brunod risale al 15 luglio 1614, quando, in seguito ad una visita pastorale, il vescovo aostano testimoniò che questo ospedale era gestito dal Comune.
Aggiornamento di domenica 15 novembre 2009
Si è reso noto (fonte: ANSA Valle d'Aosta, 14 novembre 2009) che i manieri di Graines e di Saint-Germain a Montjovet sarebbero stati restaurati nel quadro del progetto Interreg Anciennes vestiges et ruines, volto a restituire al pubblico i castelli e le strutture fortificate da tempo dimesse. Il programma è stato varato nel 2007 e ha visto l'avvio di similari lavori per il maniero di Avise e per la nota Tour de La Mothe, ad Arvier. Partners del progetto sono stati la Regione Autonoma Valle d'Aosta (Assessorato Regionale alla Cultura) ed il Conseil General de Haute Savoie.
L'11 settembre 2009, con delibera numero 2465 del Consiglio Generale della Valle d'Aosta, è stato conferito l'incarico allo Studio Geoform ed associati per effettuare, dietro compenso di 97.000 Euro, (...) rilievi topografici, laserometrici, ortofotogrammetrici con restituzione vettoriale, di dettaglio bi e tridimensionale, dei castelli di Graines a Brusson e di Saint-Germain a Montjovet. L'Assessore alla Cultura Laurent Viérin ha inoltre affermato, nel corso della seduta consigliare numero 759 del 7 ottobre 2009:(...) Esiste la volontà di valorizzare e di mettere a sistema le realtà monumentali quali Graines nel comune di Brusson e Saint-Germain nel comune di Montjovet, ma anche come tipologia Châtel-Argent di Villeneuve e Cly di Saint-Denis. Questi siti rientrano in un progetto Interreg: "Anciennes vestiges et ruines", programma che prevede non solo il recupero di diversi castelli dell'arco alpino, ma la valorizzazione e la messa in rete del patrimonio, che crediamo, da un punto di vista della tipologia, molto importante, diversificando l'offerta in base alla tipologia di beni culturali. Il modo di operare della Sovrintendenza e dell'Assessorato nel settore della tutela dei beni culturali prevede quale primo elemento la ricerca, come secondo il restauro, successivamente la valorizzazione e ultimo elemento che abbiamo voluto inserire in questi ultimi tempi: la restituzione alla Comunità. I rilievi oggetto di affido sono indispensabili e propedeutici alla stesura delle future progettazioni e indispensabili proprio per questa nostra volontà di valorizzazione.