Privacy Policy


Varasc
   
Collabora con Varasc.it

Breithorn Centrale e Occidentale. Dicembre 2015

Nota. Questo percorso dispone dei dati approfonditi di Movescount.

 

Un dicembre del tutto atipico, con temperature primaverili e lo zero termico stabile sui 2900-3000 metri; l’esigenza di tornare a rivedere cime e ghiacciai, la scelta ormai consolidata del gruppo di Quattromila più immediatamente accessibile del Nord Ovest. L’ennesimo ritorno, nel corso degli ultimi anni, a confermare lo status di aficionados del sottoscritto e dell’amica, e compagna di cordata, per queste cime.

Un incidente sfiorato, e tre buoni motivi per prestare la massima attenzione - tre motivi da divulgare il più possibile, per chi vorrà salire nei prossimi giorni.

 

La nostra meta, per una semplice uscita d’allenamento, è il gruppo dei Breithorn. E' scelto da molti alpinisti e scialpinisti, per la comodità dell'avvicinamento, per "far quota", per cercare un pò di neve e di inverno in questa stagione demenziale. Anche noi vi siamo tornati tante volte, l’ultima volta nel novembre 2015, la precedente a maggio durante il Trofeo Mezzalama; sono mete ideali per chi ha poco tempo, oppure durante il lungo periodo di chiusura dei rifugi e degli impianti d’alta quota che rende più complessa la salita sul Monte Rosa. Consentono di ammirare dei panorami magnifici, unendo alla velocità di salita il puro piacere di calzare, ancora una volta, i ramponi.

In luogo del ritorno ai primi di gennaio, questa volta abbiamo optato per il 28 dicembre. Temperature anomale, cielo terso, tutti i grandi Quattromila della Valle d’Aosta e del Vallese a dar spettacolo: una salita lenta e ponderata, a causa di un persistente mal di schiena che costringe la mia amica a pagare caramente ogni passo, oltre una certa pendenza. Eravamo carichi di attrezzatura, comprese le ciaspole che non avremmo mai mai: la neve era dura, a tratti gelata e ventata, i ramponi non affondavano quasi. Condizioni perfette per chi deve salire, non si suda nemmeno, e il vento - come previsto dai meteo consultati durante la fase di preparazione - era debole.

Una salita come le altre? Nient’affatto, e per tre ottimi motivi, la cui divulgazione urgente è alla base di questa stessa relazione in Varasc.it e su Facebook.

 

Primo motivo.

Il responsabile del Soccorso Alpino di Zermatt, G. A. Anjan Truffer, ha divulgato poco prima della nostra salita un avviso urgente, ripreso dalla Società Guide del Cervino: la presenza di un “enorme crepaccio, non visibile, sito in zona CANCELLO MEZZALAMA”, ovvero tra il gabbiotto di legno e la pista da sci che, dal Piccolo Cervino, scende verso il Plateau Rosa. Da sempre, gli alpinisti e gli scialpinisti in risalita dal Plateau lungo il bordo della pista da sci tendono a non allungare inutilmente il percorso fino al Piccolo Cervino, “tagliando” direttamente verso il Breithornplateau e puntando l’Occidentale, fino a superare lo skilift per la Gobba di Rollin. Bene, come segnalato dalle ruspe in azione la mattina del 28 dicembre 2015, tale “taglio” è ora diventato estremamente pericoloso, malgrado l’esistenza di una traccia che punti direttamente lo skilift, restando alla larga dal crepaccio. Il messaggio del Soccorso di Zermatt suggerisce difatti: “E’ consigliato proseguire lungo la pista fino al raggiungimento della stazione del Piccolo Cervino e poi prendere la traccia che seguono gli alpinisti che partono dalla Stazione stessa, in modo da evitare la zona pericolosa”. Il messaggio era accompagnato dalla preghiera di diffonderne la notizia il più possibile.

Una volta superato il grande crepaccio e lo skilift, lasciandoci alle spalle le piste da sci, abbiamo trovato il Breithornplateau in condizioni ottimali per alpinisti appiedati. Sastrugi, ovunque. Ampie onde di neve gelata e solida come cemento, a tratti gelata, solcata da depressioni che ricordavano i ripplemarks dei fondali marini. Ho visto questa stessa zona in tutte le possibili versioni, e non potevamo lamentarci.

Dopo la salita novembrina al solo Breithorn Occidentale, per rifarci, abbiamo esplicitamente scelto di salire prima il Centrale - da coniugare ovviamente con il ritorno sul suo fratello più alto. Una gita ottimale per chi vuole trascorrere una giornata fuori porta e sui ghiacciai, ammirare il Cervino, provare la gioia di legarsi in cordata; una salita che, pur breve, include pendii glaciali e una cresta, un mix che riesce a sopire la voglia di alpinismo nei mesi invernali.

 

Secondo motivo.

Per guadagnare i 4160 metri del Breithorn Centrale, da sempre, si sale inizialmente lungo la traccia autostradale che dal Breithornplateau, con un ampio zigzag, rimonta fino ai 4165 dell’Occidentale. In base alle condizioni del momento, e alla tracciatura, s’individua semplicemente la traccia che ne diparte verso il Centrale, allontanandosi dalla folla che solitamente risale gli ampi pendii nevosi in pellegrinaggio verso il Breithorn Occidentale: qualcosa di semplice e istintivo, vuoi perché la via per il Centrale è solitamente diretta e intuitiva, vuoi perché la disposizione del grande ghiacciaio ai suoi piedi consente di vedere con ampio margine ogni singola traccia, roccia e cordata lungo la via.

Il 28 dicembre 2015 non ha fatto eccezione. Rimontato il primo tratto della maxitraccia, ho individuato la deviazione intravista a distanza, sin dallo skilift del Klein Matterhorn. Seguito da Audrey, sempre con la corda ben tesa e i due nodi a palla regolamentari, ho cominciato a risalire puntando indicativamente il Centrale, sul pendio solcato da infinite tracce di sci, e neve riportata, fino a incappare in una evidente traccia - parzialmente colmata da settimane di sciate - creata da alpinisti a piedi. Tracciata bene, superando agevolmente qualche accumulo, con pendenza mai troppo elevata, come l'avrei tracciata io stesso: il che era perfetto, poiché Audrey soffriva ad ogni passo per via della schiena.

La neve era talmente dura, ricordo tuttora, che per alcune decine di metri si scorgevano solo le dodici punte dei ramponi che ci avevano preceduto, al posto delle orme o dei soliti gradini, o tacche, che s’incontrano lungo i percorsi più battuti. In alto, sopra di noi, l’immensa crepaccia terminale del Breithorn Occidentale: un arco azzurrino, minaccioso, sospeso a mò di volta grossomodo dalla parentesi verticale di roccette scure e scoperte - visibile a occhio nudo dai monti del Biellese - fino a raggiungere l’erto pendio glaciale sottostante la Sella dei Breithorn. Vista la pendenza della sua parte superiore, e soprattutto il fatto che questa terminale fosse chiaramente aperta (lo si può constatare sin dal Piccolo Cervino, a occhio nudo), puntavo a superarla ben oltre la sua chiusura, in modo da avere un certo margine di sicurezza. E così faceva la sottile traccia, del resto.

Verso le dodici e trenta, ormai, eravamo a 4061 metri di quota, prossimi al vasto colle chiamato in italiano Sella dei Breithorn. Sotto e alla nostra destra, l’immenso crepaccio aperto, che nel mese di luglio 2015 ha inghiottito due alpinisti. Davanti e sopra di me, la crepaccia terminale dell’Occidentale, qui ridotta a un solco largo poche spanne: sia io che la traccia ne eravamo rimasti coscienziosamente lontani, avvicinandola non certo in un tratto aperto!, bensì a circa venti metri di distanza dal punto in cui cessava il solco. E’ difficile spiegarlo a chi non è pratico di ghiacciai, come ho scoperto in seguito parlandone con alcuni amici: semplicemente, proprio come un taglio o una ferita sulla pelle, anche i crepacci hanno un inizio e una fine, ovvero un punto in cui la “pelle” glaciale ritorna integra. Li si valica in questo modo, tenendosene alla larga, oppure su dei ponti di neve, o ancora saltandoli - in ogni caso, con la maggiore prudenza e consapevolezza possibile.

Ero attento, ma non allarmato, prova ne è l'aver tenuto la reflex al collo per tutto il tempo. In quel momento andava tutto bene, gli elicotteri continuavano a sorvolarci a poche decine di metri di distanza, il tempo era splendido, eravamo in ottima forma. Dubito esistano i cosiddetti segni premonitori di un disastro imminente, ma se così fosse, non ne abbiamo visti.

Ho esaminato la traccia, chiedendo due volte ad Audrey di tener ben tesa la corda: tesa al punto da doverle subito far cenno di dar corda, per poter completare il passo appena accennato. Nei due metri di pendio davanti a me, la traccia era ridotta a quattro singole serie di fessure di ramponi, dodici punture l’una, tutte in salita: almeno due sicuramente risalenti al giorno prima, poiché la neve rigelata ne conservava ancora, intorno e sulla destra, i piccoli spruzzi congelati che ricadono al suolo ad ogni passo. In base a questo dettaglio, all’integrità perfetta del pendio e alla distanza di almeno venti metri dal punto di chiusura della crepaccia terminale, sono avanzato con cautela, la picca pronta. Come mostrato dalla mia ultima foto, nella Galleria, il terreno appariva intonso. Intatto.

Un secondo dopo, da circa un metro e novanta di altezza (la mia, più i ramponi), ero ridotto a meno di settanta centimetri. Un colpo secco all'inguine, non ricordo alcun rumore; neve secca, vecchia, mi ha colpito il volto, volandomi alle spalle. Ho sentito Audrey urlare il mio nome, mentre la neve si sfondava in avanti, precipitando nel buio sottostante. Un crepaccio!, lo stesso crepaccio superato il giorno prima da chissà quanti alpinisti, il nero un paio di metri sotto di me. Aria fredda in salita, la mia gamba sinistra sospesa nel nulla mentre l’amica tirava la corda come se volesse impiccare qualcuno.

Non ricordo di aver pensato alcunché di preciso, ma ho allargato le braccia.

E' questione di pochi secondi. Registri, più che ricordare, quel che succede. Il suo urlo - non ricordo neanche di essere caduto in avanti, solo di essere dentro al buco. Una brutta botta alla mano destra, non l’ho nemmeno realizzato - solo la sera, al Guide del Cervino, avrei scoperto qualche danno al mignolo. Ho provato a puntellare la gamba destra, ma il rampone ha sfondato un altro paio di metri quadrati di superficie dapprima perfettamente integra: ricordo un pezzo di pendio largo quanto il cofano di un’utilitaria, coperto delle sottili impronte di un corvo, volare giù nel nulla. Gli spruzzi erano cessati, e saliva un’aria fredda, cattiva, dal basso - che contrasto, con il calore del sole di una giornata così splendida. Il buco che s'era aperto era così largo, che se mi fossi buttato avanti, avrei a malapena sfiorato l'altro bordo - non che mi fosse passato per la testa.

Ne sono uscito nel modo più semplice, come non avrei mai potuto immaginare. Avendo scelto un attraversamento molto lontano dalla chiusura della terminale, ero anche più in basso, almeno cinque o sei metri di quota al disotto: i due Breithorn hanno pendii meridionali dolci e vasti, ma nel punto in cui il grande scudo dell’Occidentale si fonde con la Sella, la pendenza aumenta. Così, sono scivolato di schiena e a testa in giù, sullo zaino, in basso e fuori dal crepaccio: senza neanche issarmi, e sicuramente senza potermi puntellare con i piedi, poiché entrambi i ramponi per almeno dieci secondi sono rimasti penzoloni nel nulla. Ho fermato la gentile scivolata con un palmo e con il mento, voltandomi sulla pancia al contempo, ed esattamente davanti ai miei occhi l’Evançon scintillava dolcemente a Champoluc. Non un brutto segno, questo.

Sopra di me la mia amica, in perfetta posizione di “sicura”, mi ha guardato dicendo, ho paura.

Ripresi dall’incontro ravvicinato con un biglietto di sola andata per la casa di Ade, constatando di stare bene e di non aver rotto nulla - nessun danno organico, nessun danno all’attrezzatura - ho provato a saggiare il terreno, ancora più in basso. La lezione è stata severa: venti metri di distanza e cinque o sei di quota dalla chiusura della terminale non si sono rivelati sufficienti, così ho raddoppiato entrambe le misure, costringendoci ad una discesa e risalita dove nessuno era passato prima. Inutile dire che, questa volta, il pendio si è rivelato perfettamente integro, permettendo di lasciarci alle spalle quella trappola e la sua follia a gran velocità. In pochi minuti - letteralmente - abbiamo guadagnato la Sella dei Breithorn, a quota 4081.

E qui, sorpresa!, un sottile crepaccio parallelo al bordo della lunga cresta, esteso quindi nella stessa direzione dell’Occidentale e del Centrale: con infinita cautela, e certo aspettandoci un nuovo cedimento, l’ho superato allungando semplicemente il passo dopo aver saggiato entrambi i bordi con la picca. Niente a che vedere con la terminale, per fortuna, ma va tenuto presente.

Vento, ora, e vento freddo. Siamo saliti verso il Centrale, incontrando all’inizio della sua grande e splendida “pinna” (quanto amo questa forma aggraziata) un altro crepaccio: un intaglio, sottile, di traverso rispetto alla traccia e alla cresta stessa. Superato, alle 13.23 eravamo in cima da qualche minuto, a riprendere fiato e scattare fotografie.

 

Terzo motivo.

Una lunga pausa, per ammirare il Rosa e i Mischabel, in tutto il loro splendore: potevo esser morto da mezzora!, è il concetto, tanto vale riempirmi gli occhi di questa meraviglia ultraterrena. Dal Centrale, ritornati sull’ampia Sella dei Breithorn, abbiamo preso la via per l’Occidentale: rimontati pochi metri di rialzo, ecco un nuovo crepaccio, sottile ma insidioso sul lato elvetico. Ancora una volta, terreno duro prima e dopo il solco, anche se ormai eravamo ipersensibili rispetto a qualsiasi ombra o variazione al suolo.

La mattina, incontrando una coppia di scialpinisti italiani diretti al Polluce, avevamo chiesto informazioni in merito alla crestina che collega la Sella all’Occidentale. Perfette condizioni, secondo loro, si poteva fare. Un percorso a tratti esposto, solitamente fattibile, a patto di prestarvi la dovuta attenzione e di non essere sensibili a vertigini o esposizione - come sgradevolmente e rumorosamente ricordato, a maggio, da una persona sprovveduta con cui ho avuto la sventura di legarmi in questo stesso tratto. In sintesi, non è certo la cresta più ardita delle Alpi!, ed è percorsa da migliaia di alpinisti ogni anno, qualcuno perfino privo di piccozza: ciò non toglie che vada affrontata con rispetto e cautela.

L’abbiamo affrontata, direi, con molto rispetto e tanta cautela. Passo dopo passo, spiegavo con parole chiare e forti, senza potermi voltare verso di lei, cosa stavo vedendo e cosa sarebbe successo a breve, poiché la pendenza della cresta aumenta repentinamente e sapevo che Audrey non poteva vedere oltre il mio zaino, e il mio simpatico fondoschiena. Un po’ come quando, guidando, non si riesce a sorpassare e si rimane alle spalle di un pullman che impedisce la visuale dell’altra carreggiata.

Dopo il primo terzo di percorso, la crestina s’impenna e le profonde tacche svaniscono: il filo di cresta diventa troppo sottile. Occorre salire in piedi, in equilibrio tra Italia e Svizzera, scavalcando la crestina - tienila tesa! - e scendendo di circa un metro sul versante sinistro, in Italia. Io, essendo alto, sporgo solitamente di tutta la testa dalla crestina, potendola usare come comoda balaustra per piantare la picca ad ogni cauto passo; il rischio maggiore è quello di ramponarsi, o di inciampare, precipitando sul versante meridionale del Breithorn Occidentale.

Bene, dopo i primi passi, abbiamo incontrato una prima fascetta gelata, seguita da dieci metri più consistenti di pendio ghiacciato. Ogni passo mi ha richiesto, sempre con la gamba destra, di pestare con forza nel pendio per creare una tacca parzialmente in grado di accogliere con sicurezza il rampone; venti minuti di concentrazione e calma assoluta, salmodiando Aspetta… Vengo?, l’un l’altro, senza poterla vedere, senza potermi mai voltare verso Audrey. Alcuni metri non consentivano quasi al rampone di entrare nel pendio, se non per le quattro lame laterali. In due casi, ho dovuto usare il tacco, perpendicolare al pendio, per romperne la resistenza e poi creare la solita tacca, per me, per lei che mi seguiva concentratissima e serena.

 

Conclusione. Tirar le somme, ex post

In sintesi, una giornata in grado di mostrare come due cime conosciute, accessibili e prive di difficoltà oggettive possano rivelarsi pericolose, in base alle situazioni. Lo stesso Breithornplateau ha minacciato di inghiottire uno scialpinista nelle medesime ore, salvato per un soffio dal compagno, mentre un altro crepaccio ha inghiottito un parapendista sulla vicina Gobba di Rollin, sempre nell’arco della stessa giornata: il pilota si è salvato grazie a un'applicazione, caricata sul proprio cellulare, dando l'allarme. Gestori, Guide alpine e personale delle funivie del Cervino ci hanno esposto tutti lo stesso timore: che le prossime nevicate si limitino a qualche decina di centimetri, perfettamente in grado di presentare pendii uniformi allo sguardo, senza tuttavia chiudere veramente i crepacci sottostanti.

Prudenza, fortuna, una splendida compagna di cordata, e sono qui a raccontare tutto questo senza aver riportato alcun danno. In discesa ci siamo premurati di descrivere l’incidente della crepaccia terminale a ogni alpinista e scialpinista, oltre che naturalmente all’amichevole gestore del Rifugio Guide del Cervino: due ragazzi, in particolare, hanno gentilmente diffuso il nostro avvertimento su un famoso sito di montagna.

Il monito è semplice: quel ghiacciaio e la montagna non sono in buone condizioni, intendendo in condizioni che consentano di affrontarla con tutta la possibile sicurezza usualmente concessa dall’attività alpinistica. Vi sono crepacci enormi, aperti: quello tra il gabbiotto ligneo e il Piccolo Cervino, e quello immenso, spalancatosi a luglio sotto la Sella dei Breithorn. O la faglia sottile, sul bordo stesso della Sella. Altri, come nel caso del mio incidente, si estendono invisibili oltre la crepaccia terminale dell’Occidentale. La crestina di connessione dell’Occidentale e del Centrale, infine, è parzialmente gelata sul lato italiano e richiede una grande saldezza di piede a chi intende percorrerla.

In ogni caso, prudenza!, e legatevi bene!

 

 

Scritto a Biella la sera del 29 dicembre 2015, con particolare riconoscenza alla mia amica e compagna di cordata, Audrey.

© Copyright Varasc.it 2015 - Disclaimer - Cookie Policy - Contatti - info@varasc.it - Old version