Breithorn Occidentale (4165 metri)
Nota. Varasc.it è ritornato
al Breithorn nel 2009 e nel 2010.
Per chi frequenta la Val d'Ayas, i tre
Breithorn sono le estreme propaggini occidentali di quella lunga e
spettacolare concatenazione di "4000" che, trascendendo la
semplice delimitazione a nord della Val d'Ayas – la quale non è sola
ad esserne limitata - costituisce una sorta di evidente confine
naturale tra due Paesi, l'Italia e la Confederazione Elvetica. Si
tratta di una imponente muraglia di oltre 20 chilometri di estensione,
composta da rilievi piuttosto differenti tra di loro, che corrisponde
alla definizione di Alpi Pennine Centrali.
Partendo sempre dal punto di vista ayassino,
questa catena di vette quasi lineare è facilmente apprezzabile dal Pian
di Verra, a tratti dal monte Crest, dalla vetta della Testa
Grigia e dalla Falconetta, o Becca
di Nana, per non citare il più distante –ma
panoramicissimo- Monte
Zerbion. I due Lyskamm, oltre i quali sorgono le vette del
massiccio del Monte Rosa, danno il via alla sfilata di creste lucenti
e pareti ardite, alla bella teoria di bianco cangiante e roccia scura:
ecco il monte Castore, seguito dal Polluce, dalla Roccia Nera, ed
infine dai tre Breithorn. Più oltre, la piramide del Cervino,
ammirabile in Ayas dalle zone circostanti il Bivacco
Città di Mariano e, in maniera spesso impressionante,
dalla zona immediatamente sottostante Frantzé.
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I Breithorn si presentano come tre vette
vicine, ma lievemente differenti le une dalle altre. Se l'Occidentale,
il più alto, ha una bella "schiena" nevosa -che ne
giustifica il nome, "Corno largo"-, il Centrale
(4159 metri) presenta una cresta più affilata e caratterizzata da
cornici, mentre l'Orientale è addirittura composto da due sommità,
definite anche "i gemelli": una di 4139 metri e l'altra,
quella prospiciente i 4075 metri della Roccia Nera, di 4109. Dalla Val
d'Ayas si possono ammirare in maniera perfetta, seppure decisamente
defilata, dalla parte più orientale dell'ampio pianoro del Rifugio
Quintino Sella al Felik.
I Breithorn possono essere attraversati da est ad ovest in circa nove
ore, partendo dal Rifugio delle Guide di Ayas al Lambronecca,
affrontando però molte cornici, tratti esposti ed una difficoltà di
terzo grado, con tratti di terreno misto che classificano l'esperienza
come AD.
Il massiccio dei Breithorn è composto da rocce
ofiolitiche, vale a dire aggregazioni di gabbri, basalti e
serpentiniti originarie dei fondali dell'oceano perduto, la Tetide, la
cui espansione cessò nel Cretaceo per soccombere definitivamente in
epoca Terziaria alle spinta convergente della zolla africana e della
zolla europea. Più in particolare, i Breithorn sono formati da
serpentiniti, ovvero rocce color verde intenso, dalla superficie
scivolosa e segnata da fratture d'aspetto irregolare. Queste rocce
formano non solo i Breithorn, bensì anche la Gobba di Rollin, la
Roccia Nera, il Polluce, la Rocca di Verra, il Monte Rosso e la Punta
Bettolina.
Varasc.it, come preannunciato, ha provato la
salita al Breithorn Occidentale dal rifugio Teodulo (3317 metri), con
un dislivello di 850 metri.
Un po' di storia
Prima di relazionarvi su questa bella
esperienza alpina, tuttavia, è doveroso concedere un breve spazio
all'aspetto storico di questa montagna. Se è vero che la pratica
dell'alpinismo trova nei suoi adepti innumerevoli motivazioni –così
difficili da spiegare esaurientemente ai non addetti ai lavori, agli
scettici, agli Io-preferisco-il-mare-, chi scrive ha sempre
trovato affascinante ricordare le gesta dei primi scalatori delle
nostre vette. Persone che in tempi lontani posero piede su sommità
inviolate dopo ore, se non giorni, di fatiche oggi in gran parte
annullate da impianti e tecnologia; persone sui cui passi, al giorno
d'oggi, continuano a camminare generazioni di alpinisti di ogni
nazione.
Il Breithorn Occidentale fu conquistato il 13 agosto 1813 dal francese
Henry Maynard, accompagnato dalle guide Joseph-Marie Couttet, Jean
Gras, Jean-Jacques e Jean-Baptiste Erin.
Maynard e l'anziana guida Couttet, di Chamonix, erano saliti il giorno
precedente a Cervinia Breuil, dove verso le 23.00 erano stati
raggiunti dalle altre guide. Nonostante l'aria rarefatta, alle cinque
di mattina del 13 agosto erano arrivati al Colle del Teodulo, alle
12.00 circa in vetta al Breithorn.
La notizia della conquista di questa vetta fu, tuttavia, piuttosto
controversa. Annunciata dal napoleonico Moniteur Universal del
22 settembre 1813, riguardava però la genericissima definizione di
"Monte Rosa": un equivoco o un'imprecisione di tutto
riguardo, destinata a far sì che, nel 1874, il celebre Quintino Sella
scrivesse ad un conoscente affermando di aver probabilmente salito per
primo il Breithorn nel 1854, e menzionando solamente un'altra
ascensione, nel 1861, ad opera di Lord Minto e di tali Schwizer e Howe.
Ad ogni modo, il primo presidente del CAI ed i suoi compagni dovettero
affrontare l'erto pendio sommitale intagliando nel ghiaccio circa
duecento gradini, con il costante rischio di scivolare lungo la
parete: il confronto con la regolare ed indelebile traccia dei nostri
giorni è inevitabile.
La prima salita invernale, invece, risale al
21 gennaio 1888, ad opera di A. Bürcher, J. Seiler, M. Stockalper.
Relazione
dell'ascensione di Varasc.it del Breithorn Occidentale, effettuata
domenica 26 giugno 2005
Dopo questa breve premessa, ecco il fedele
rapporto della mia esperienza al Breithorn. Cervinia, 2050 metri di quota sul livello del
mare, poco dopo il mezzogiorno di sabato 25 giugno: nuvolaglia fitta e
ben decisa a lasciare poche speranze a chi, come noi, meditava di
violarla per raggiungere un po' di quelle pareti imponenti che
delimitano la conca della famosa cittadina. Il suo monte per
eccellenza, il Cervino, invisibile. Nell'aria, l'impressione di una
località turistica appena risvegliatasi dal mese canonico di vacanza
e di totale chiusura degli esercizi, e soprattutto, una densa pioggia
che ci offriva varianti poco piacevoli sulla scala corrente tra
l'acquazzone e le classiche due gocce.
I megalitici arditismi architettonici propostici allo sbarco dalla
macchina non migliorano il nostro morale. Dopo un veloce spuntino
consumato sotto l'acqua, nella piazzetta sottostante il monumentale
arrivo delle funivie, si parte: ore 13.30, pochissimi passanti, tant'è
che solo per fortuna riusciamo ad aggregarci ad altri turisti
intenzionati a visitare il Plateau Rosa. Non si tratta certo di malinconia dovuta alla
solitudine, ma alla spiacevole caratteristica pecuniaria degli
impianti stessi: ben 26 Euro a testa, oppure –con una comitiva di
almeno cinque persone- 19. Si tratta di ben pochi Euro di differenza
che non spaventano certo alpinisti con ben altri pensieri per la testa
–quali, ad esempio, che tempo farà domani?- ma che,
personalmente parlando, attenuano lievemente lo choc di vedersi
richiedere circa cinquantamila delle vecchie e rimpiante Lire per un
servizio necessario ma atavicamente odiato, quale appunto la funivia.
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Superata in pochi minuti la prima tratta su
un'unica, grande cabina, alle 13.40 siamo partiti da Plan Maison,
sorvolando prati non ancora completamente conquistati dalla primavera,
attraversando foschia e nuvolaglia in discesa, questa volta in cabine
più piccole. Alle 12.51 è terminato anche questo troncone,
lasciandoci nuovamente a bordo di una grande cabina che, alle 14.05,
ci ha consegnati alla stazione di arrivo: il famoso Plateau Rosa,
sottostante all'ancor più rinomato "Matterhorn Glacier
Paradise" ed ingresso di uno dei comprensori sciistici più noti
d'Europa.
Purtroppo, tanta magnificenza doveva esserci
negata, e con una certa fermezza. Dalla pioggia che ci aveva accolti
sin dall'abitato di Valtournenche con il suo lago, che precede
Cervinia, si passò infatti alla grandine dell'ultima tratta di
funivia e, per concludere in bellezza, a brevi sprazzi di nevischio
che rendevano particolarmente assurda la situazione –se si considera
che tutto questo avveniva mentre in tutta Italia il caldo assediava le
città con temperature africane.
Vista la situazione e capita l'antifona, alle 14.10 eravamo già
seduti ad un tavolo d'angolo del Rifugio Guide del Cervino (3480 metri
di quota, 40 posti letto, aperto continuativamente, numero di telefono
0166 948369, e-mail Giorgio.carrel@galactica.it
), sinceramente scambiato dal sottoscritto –in un primo momento- per
un normale ristoro. L'errore è spiegabile a causa dell'immediata
vicinanza del rifugio all'arrivo della funivia proveniente da
Cervinia, dalla quale è separato unicamente dalla Scuola di Sci del
Cervino e da ben poco estetiche strutture di cemento e metallo.
A questo punto, però, urge porre rimedio ad
una dimenticanza e specificare un punto essenziale, anzi nevralgico,
di questa relazione: i partecipanti. Ecco dunque la nostra dramatis
personae.
Di fronte al vostro relatore, le spalle al muro ligneo del
rifugio, ecco Marco Midili, al suo primo 4000, innamorato delle sue
nuove ghette e giustamente titubante riguardo la mia grappa.
Alla mia destra, il nostro esperto, Saul, Memento Audere Semper.
Entrambi milanesi, potrebbero accennarvi probabilmente ad un'impresa
progettata e delineata mesi fa, come conseguenza della reciproca
volontà di tentare il Breithorn Occidentale; un'impresa documentata
su libri e tramite Internet, sgrezzata grazie ai pazienti consigli di
amici e colleghi webmaster, e definitivamente siglata in un assolato
pomeriggio milanese, davanti all'affollato sagrato di Piazza del
Duomo. Sicuramente un contesto alieno da ogni paragone montano.
Malgrado la sottile consolazione –subito annotata, sull'altare della
fedeltà di cronaca, per una futura ed auspicabile relazione
dell'intera ascensione- della presenza di un buon campo per i
cellulari, quanto mai utile e necessaria in montagna, il tempo restava
pessimo, la visibilità ridotta. La temperatura non era troppo rigida,
ma l'insieme –pur producendo comunque un certo riverbero sulla neve-
faceva disperare di poter costruire qualcosa, l'indomani.
Partiti alle 14.50 per il rifugio del Teodulo,
con nevischio e foschia, lo raggiungemmo alle 15.15. Il percorso era
semplice: uscire dal rifugio Guide del Cervino, tornare verso l'arrivo
delle funivie ed oltrepassarlo, continuando a scendere lungo l'ampia
pista verso il Colle del Teodulo in direzione di un primo sperone di
roccia su cui spiccavano tre tralicci. Lì, la pista si riduce e curva
sotto le roccette, scendendo di qualche metro e passandovi sulla
destra: solo allora diventa ben visibile la sagoma del Teodulo,
davanti al quale garriscono schioccando le bandiere valdostana,
svizzera ed italiana. Vi è ancora da percorrere un tratto piuttosto
singolare, però: prima una decisa discesa di circa una cinquantina di
metri, e poi altrettanti di salita, fino alle reti che delimitano la
terminale della pista sulla sinistra del rifugio.
Il rifugio, difatti, è posto su un rialzo roccioso che domina il
Colle del Teodulo, a 3317 metri di quota. Di proprietà della sezione
CAI di Torino, viene descritto come capace di offrire 86 posti letto e
6 nel locale invernale, ma indicazioni interne al rifugio stesso ne
ridimensionano la capienza a 60 posti. Gestito da Flavio Bich
(telefono 0166 92966), è consigliato nel periodo che va dalla metà
di luglio a settembre. Il telefono è 0166 949400; il rifugio presenta
una caratteristica dicotomia strutturale, con la zona camere
manifestamente trascurata e da ristrutturare, e la sala da pranzo
panoramica veramente notevole, non solo per la vista –da Cervinia ai
laghetti artificiali che sottostanno alla funivia, fino all'imponente
piramide del Cervino.
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Nel primo pomeriggio di quel piovoso sabato,
ad ogni modo, il rifugio del Teodulo (o Théodule) era deserto, aperto
al pubblico da un giorno solo. Da notare che la ricezione del telefono
restava ottimale, mentre, guardando a nordest, non si capiva dove
iniziava la nuvolaglia e dove finiva il cupo candore delle piste.
Il rifugio sorge sull'omonimo Colle, un punto
di passaggio obbligato tra Svizzera ed Italia, un passo dalla storia
antichissima. In pratica fu utilizzato sin dalla preistoria come
accesso alla Valle d'Aosta ed al Vallese, cantone svizzero dal XIV
secolo. Gli stessi Walser
erano passati da qui, scendendo a colonizzare le belle vallate
sottostanti il Monte Rosa, dopo che i loro antenati Alamanni si erano
rivolti a sud nel periodo tra l'VIII ed il IX secolo. Proprio qui
furono rinvenute monete romane.
Confermata la prenotazione e preso possesso della stanza numero uno
–il rifugio era veramente deserto- decidemmo di uscire in
ricognizione, alle 16.29, senza zaini ed attrezzatura.
Personalmente ero intenzionato a provare i
nuovi ramponi, e mentre il tempo sembrava concedere leggerissime
schiarite, salimmo nuovamente al rifugio delle Guide del Cervino, dove
il gestore ci rimproverò l'imprudente tragitto: la pista era ben
battuta, ma le zone non delimitate dai paletti e dai nastri
nascondevano pericolose buche sottostanti la superficie nevosa. Tempo
fa, un ragazzo era addirittura annegato in una di queste trappole
insidiose, e proprio nel quarto d'ora di percorso che separa il Guide
del Cervino dal Teodulo con la sua panoramica, i suoi tavoli di legno
umidi all'esterno, le bandiere schioccanti sulla loro asta con il
basamento marcato CAMP. Morale: mai abbandonare i percorsi delimitati
dalla segnaletica sciistica.
Tornati indietro per le 18.06, ci concedemmo qualche partita a carte
prima e dopo la cena. Il menu: pasta, di primo –penne al sugo con
olive e capperi- e sottili fette di arrosto con verdure –carote e
fagiolini- di secondo. Per dessert, un bicchierino di macedonia e,
particolare da tenere in conto, bevande e caffè a parte. Il conto
finale, per amor di cronaca, sarà un po' troppo salato, almeno a
nostro parere: 108 Euro per tre mezze pensioni, 4.20 Euro di acqua
minerale, 3.50 per una grappa, 4.50 Euro per un quartino di vino
rosso, 2.20 per un caffè espresso. In totale, 122.40 Euro. Un prezzo forse giustificabile dall'ambiente
montano, che però ci è sinceramente sembrato elevato rispetto al
menu ed alla sistemazione notturna offerta. Niente da dire invece sul
servizio e sulla cortesia del personale: prezzi a parte, il Teodulo s'è
rivelato un buon punto d'appoggio.
Un'unica nota: sarebbe convenuto prenotare piuttosto al Guide del
Cervino, ma unicamente in previsione del Breithorn. Questo sarebbe
valso il risparmio dei venti minuti di tragitto tra i due rifugi,
poiché il Guide del Cervino è direttamente prospiciente all'inizio
della pista che porta all'attacco del suddetto 4000.
Dopo una serata passata giocando a carte e
conclusa con i tratti salienti de Quella sporca dozzina, dopo
una notte di riposo –personalmente- tranquilla e nient'affatto
disturbata da fattori quali quota, sbalzo di quota, temperatura, la
sveglia è suonata marziale e categorica alle 04.35. O almeno, l'ha
fatto dal mio polso, poiché altri alpinisti erano già in piedi per
quell'ora: avevo infatti dovuto sottostare alla tendenza all'alzarsi
più tardi diffusa nel resto della nostra cordata. Inoltre, per parte
mia, subivo il lieve fastidio agli occhi provocato dal non aver
indossato gli occhiali da sole, all'arrivo al Plateau Rosa, seppure
sotto una bella nevicata.
La colazione (dalle 05.00 alle 05.15 circa), nella sala panoramica, ci
regalò elementi preziosi quali bevande calde e calorie, e soprattutto
una stupefacente visuale su Cervinia, le sue vette, il Cervino stesso
in tutti i suoi 4478 metri di possanza: bastava mirare la selvaggia
cresta di Hörnli per veder scemare la voglia di inutili commenti su
una montagna così dura e sincera nel mostrarsi tale, e bastava notare
quanta difficoltà incontrasse perfino la neve stessa per restarvi
aggrappata, perché il tentativo di identificare la Solvay Hütte –lì,
sotto la Torre Rossa..- diventasse puro e vano sforzo accademico.
Nel frattempo, fatti armi e bagagli,
cominciammo ad organizzare la partenza, insieme ai pochi altri
alpinisti presenti al Teodulo. Sapevamo che altri ancora sarebbero
partiti verso le otto dal Guide del Cervino, e pronosticavamo un
totale di circa cinquanta persone dirette al Breithorn Occidentale.
Verso est le piste risplendevano sotto un cielo ancora scuro, ma per
l'assenza del sole, non per le nubi, di cui non v'era traccia. Le tre
bandiere garrivano sullo sfondo bianco della neve.
Partiti alle 05.50 in cordata, memori dell'avvertimento ricevuto la
sera precedente al Guide di Cervinia, fummo sorpresi in pieno Colle
del Teodulo dal sole nascente: un evento antico e sacro, facile da
dimenticare nell'amorfa tragedia di un risveglio urbano, ma che fu
salutato dal ghiaccio con miriadi di istantanei scintillii impossibili
da non notare, mano a mano che la luce avanzava verso ed oltre di noi.
Un momento sufficientemente significativo da meritare l'annotazione
dell'ora esatta, le 05.57, su un taccuino traballante nel vento,
inumidito dal nevischio colante dai miei guanti ed appena scalfito da
una Bic troppo incerta sul da farsi per scrivere come si sarebbe
dovuto.
Da qui in poi, si inizia l'infinita teoria di
piste da sci che precede l'attacco del Breithorn. Quest'ultimo,
infatti, non è facilmente visibile dal Plateau Rosa come, ad esempio,
il Castore dal Quintino Sella: al contrario tutto quel che si vede
dall'arrivo delle funivie è una serie di pendii innevati che sarebbe
paradisiaca, se non fosse pesantemente e massicciamente incatenata da
skilift, capannine ed altre strutture sciistiche. In pratica, con
buona pace di ogni appassionato sciatore, ho visto solo slanciati pali
metallici bordati di imbottitura arancione dovunque girassi lo sguardo
per almeno un'ora e mezza, sia all'andata che al ritorno. Alla mia
destra, una cocente delusione: la bella Gobba di Rollin, la schiena
nevosa ed aggraziata che chiude sulla sinistra la panoramica del mio
balcone a Champoluc,
altro non è che un immenso pianoro declinante, anch'esso umiliato da
un'indescrivibile presenza meccanica, del tutto fuori luogo.
Nessuno vuole scagliarsi nuovamente contro il
popolo degli sciatori, che –comunque la si pensi- ha riportato il
benessere sulle Alpi, pur provocando l'invasione di impianti di
risalita che ormai minacciano anche i ghiacciai un tempo reconditi.
Tuttavia, quella domenica mattina, un sincero e disinteressato amante
della montagna ha avuto solo di che intristirsi, spaziando lo sguardo
là dove il maltempo gli aveva precedentemente precluso la visuale. Se
più tardi Marco che piantava rabbiosamente la piccozza nella neve mi
ha richiamato alla mente un Achab infuriato, credo si possa estendere
l'immagine di un'immensa schiena bianca maldestramente imbrigliata
–una Moby Dick intravista dal Pequod, il dorso cosparso di
vecchi arpioni e percorso da un'infinità di sagole e ciarpame
metallico. Uno spettacolo veramente triste.
Alle mie spalle, dopo qualche minuto di cammino verso nord, una nuova
sorpresa: l'incredibile vista del complesso arrivo delle funivie-
rifugio Guide del Cervino- Scuola di sci e quant'altro, che, con le
sue aberrazioni di cemento e metallo, con le sue due grandi pinne
parallele e grigiastre, i suoi pali segnaletici, i suoi tralicci, i
ripetitori, ricordava ad un passo le installazioni del pianeta Hoth in
Guerre Stellari, al passo successivo lo scenario di quella
specie di fiera clandestina di armi in cui Pierce Brosnan –007 si
intrufola, all'inizio di uno dei suoi film, per sottrarre due armi
nucleari alla furia vendicatrice del missile da crociera già in volo.
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Ad oggi, invece, il ricordo è molto più
morigerato: il magnifico Cervino sullo sfondo e.. "Quelle
cose" in primo piano. La montagna che non è nemmeno più
umiliata, ma unicamente sfruttata, ormai in modo abitudinario e
perfettamente scontato.
Il nostro percorso, ad ogni modo, si allontanava da quell'aberrazione
in fondo al Plateau, ormai in territorio elvetico: in pratica non si
registravano differenze, né nella segnaletica, né nella quantità
degli impianti, essendo il tutto un unico comprensorio. La pista parte
davanti al Guide del Cervino attraversando il Plateau per poi piegare
decisa sulla sinistra, cominciando a salire sensibilmente, fino ad
infossarsi in un.. Incredibile tunnel di lamiera ondulata,
sufficientemente alto e largo da permettere il passaggio di un camion,
la cui ragione d'esistere è la necessità di non interrompere
un'altra pista soprastante.
Dopo il tunnel si continua sempre dritti, in
direzione generica del Cervino, che si tiene per qualche tempo alla
propria sinistra, di fianco. In basso si possono ammirare il Colle del
Teodulo, il rifugio omonimo, prima che la pista salga verso la
formazione rocciosa del Klein Matterhorn (3884 metri)–una specie di
sperone- presso la quale la traccia alpinistica, vale a dire quella
formata da scarponi e ramponi, taglia a destra ed in alto, attraverso
distese di neve immacolate. Siamo ora sul dorso di quel grande poggio
innevato che nasconde il Breithorn dall'arrivo delle funivie di
Cervinia, il primo che si scorge guardando davanti a sé uscendo
dall'impianto di risalita. Siamo sul cosiddetto Breithornpass.
Purtroppo, anche lì, c'è subito un altro skilift che corre in
direzione est- ovest, preannunciando però il bellissimo, ed ancora
sgombro, ghiacciaio del Breithorn. Una sorta di plateau di neve –al
momento, di prima mattina- dura e compatta, su cui passa il Trofeo
Mezzalama.
Noi giungiamo in questo tratto, o colle, prima
delle 08.20. La traccia piega decisa verso l'inconfondibile sagoma del
Breithorn, che adesso si erge in tutta la sua bellezza davanti
ai nostri occhi: alla sua destra, una bella sfilata di 4000 che
potremo ammirare più su, alle sue pendici. Vi arriviamo per le 08.38,
ora in cui decidiamo finalmente di calzare i ramponi: siamo
praticamente sotto l'attacco del Breithorn, che ci fa scudo con la sua
mole. Non c'è un filo di vento –non ci sarà fino in vetta,
purtroppo-, il cielo è terso, il sole scalda e riverbera con forza
dalla neve. Ci troviamo a 3750 metri di quota.
La traccia, ovviamente molto più ristretta, sale dalla base del
Breithorn verso sinistra, con un'ampia curva di qualche centinaio di
metri, la cui parte terminale sale con decisione. L'intero percorso
appare abbarbicato sul fianco meridionale della montagna: più su, la
traccia svolta con decisione verso.. L'alto!, senza tornare a tagliare
il pendio in maniera più orizzontale, come farebbe forse un sentiero
a quote più basse. No, sale dritta sul lato sinistro di questa
immensa pinna bianca, quasi sporgendosi verso il vuoto che si intuisce
ad est, e sparisce verso la vetta.
Su molti manuali, il Breithorn Occidentale è
definito come un facile itinerario, addirittura come "Il più
facile dei 4000" da Richard Goedeke, che specifica soltanto:
difficoltà F, 35°.
Il primo tratto della traccia, ovvero la lunga
curva verso sinistra, sicuramente non presenta molti ostacoli, e
permette di guadagnare sensibilmente quota senza affaticarsi troppo:
l'ideale è sostare una decina di minuti sotto l'attacco, magari per
bere o mettersi i ramponi, in modo da smaltire anche l'eventuale
indolenzimento mattiniero e "ricaricare le batterie" dopo la
salita su piste dal Guide del Cervino o dal Teodulo. L'unica nota
negativa, che lo diventerà molto di più nelle ore seguenti, è la
presenza di buche e fastidiose fratture nella neve della traccia
stessa.
Fino a questo punto, insomma, il Breithorn Occidentale non ha deluso
nessuno, ma non ha neanche svelato ostacoli assassini. Del resto, come
visto, anche l'avvicinamento non si è rivelato difficile.
Il discorso cambia sensibilmente negli ultimi
duecento metri di quota sotto la vetta, là dove la traccia sale in
verticale –letteralmente- verso i pendii sottostanti la vetta.
L'inclinazione, innanzitutto, diventa molto accentuata: impossibile
valutarla con precisione mentre si è occupati su di questo tratto, ma
certamente maggiore di 35°. Forse 45°, e, in certi tratti,
addirittura 50°: se mi fermavo, restando in piedi, avevo il pendio a
quaranta centimetri circa dal torace. Come trovarsi su una scala a
pioli, appoggiato alla piccozza invece che alla balaustra laterale.
Per peggiorare la situazione, sotto il sole implacabile ed in assenza
di vento, ecco arrivare almeno cento metri di dislivello di ghiaccio
duro, vivo, ben deciso a respingere ramponi e piccozze. Ben presto fu
evidente che la normale forza di gambe e braccia nell'assicurarsi alla
superficie non era sufficiente: così, cominciammo ad assestare
possenti colpi su quei piccoli dossi levigati e risplendenti, mentre
la corda sibilante che scendeva dall'alto non riusciva più a segare
le minuscole bitte ed i minuscoli anfratti nevosi che attraversava,
impigliandosi spesso. I ramponi, dal canto loro, trovavano appigli
solo mediante pressioni fortissime, e spesso solo con quattro punte su
dodici.
Alla fine, l'ultimo pendio non declina ma si
defila sulla destra, mentre la traccia scivola per pochi metri verso
sinistra, in maniera impercettibile: ormai da tempo sentiamo voci e
vediamo cordate già impegnate nei primi metri di discesa, siamo
superati da alpinisti soddisfatti che ci salutano senza però
distogliere minimamente l'attenzione dai propri piedi. Un ultimo
sforzo e sì, siamo in vetta.
Sono le ore 09.34 quando, mezzi svestiti per via del caldo, usciamo
sulla sommità del Breithorn Occidentale, a 4165 metri di quota. Lì
ci investe un forte vento svizzero, facendoci subito rimpiangere
giacche e maglie debitamente riposte in zaini che, di certo, non
vogliamo aprire e smontare lassù.
Una coppia con una ragazzina giovanissima, sulla dozzina di anni, ci
saluta e scende. Il panorama è stupefacente, noto mentre riprendo
fiato ed allento la tensione della schiena, massacrata dal peso
eccessivo dello zaino. Alla mia sinistra, ad ovest, il Cervino che mi
segue da tempo non pare affatto impressionato dall'eroismo della
nostra impresa, di cui comunque ho pagato ogni passo: mentre sono lì
in vetta, di certo non mi passa per la mente l'assioma Breithorn
– 4000 facile.
Più oltre, a nord ovest, ecco vette che vedo bene per la prima volta:
il Weisshorn (4505 metri), l'aguzzo Zinalrothorn con i suoi 4221
metri, l'Obergabelhorn, i 4356 metri della Dent Blanche, piramide di
gneiss le cui creste, stranamente, indicano in modo pressoché
perfetto i punti cardinali.
A nord est, ecco invece i 4199 metri del Rimpfischhorn nel massiccio
dell'Allalin e, più oltre, il massiccio dei Mischabel, che viene a
sud verso la cresta confinaria italo- elvetica con i suoi dodici
"4000".
Ma è ad est, alla mia destra, che ci si sente
più a casa, più attratti. Ecco subito il dorso affilato e più basso
del Breithorn Centrale, e più oltre, seminascosti, i rilievi
dell'Orientale. Più avanti, quasi impossibile da distinguere in
questa sua forma insolitamente nevosa, la sommità della Roccia Nera,
ai cui piedi si nasconde la Schwarztor, la Porta Nera per la Svizzera.
Ecco poi i 4092 metri del Polluce, dove è impegnato il mio amico
Massimiliano Patti, nello stesso momento, con il CAI di Vercelli. Ed
infine, la spettacolare pinna trapuntata del Monte
Castore, più simile al dorso di un pesce che ad una
montagna, con le sue creste aggraziate ed addolcite da curve perfette.
Alle sue spalle, creste molto più selvagge preannunciano i due
Lyskamm, dietro ai quali si apre un immenso "viale" di 4000:
il massiccio del Rosa, aperto 'in basso' dalla Piramide Vincent e
chiuso 'in alto' dalla Gnifetti con la minuscola scatoletta del
rifugio Regina Margherita (4556 metri, la quinta vetta più alta
d'Europa), e la Zumstein (4563, la quarta).
Alle mie spalle, lontano, il Bianco. Più ad est, sempre in basso, il
verde imbocco di una valle che mi fa esultare internamente..
Siamo in vetta da due minuti scarsi, da soli,
prestando attenzione alla presenza di cornici, quando un piccolo monomotore arancione, dalle linee sportive, sale
dalla valle di Cervinia, vira a pochi metri dal Breithorn ed incrocia
lentamente sotto di noi, sul versante svizzero, a pochissima distanza:
per qualche miracolo riesco ad inquadrarlo in ben tre fotografie
distinte, che riprendono anche la profonda vallata del Gornergrat, con
i piccoli e luccicanti Gornerseen sulla destra e l'imponente colata di
ghiaccio azzurrastro del Gornergleitscher. I laghetti risplendono
sotto lo Stockhorn e la distanza annulla impianti e oscenità moderne
con cui gli svizzeri hanno domato il loro versante. Più oltre, verso
nordovest, si intuisce la presenza di Zermatt.
La vetta del Breithorn è una specie di striscia nevosa pianeggiante,
lunga forse venti metri e larga, nel massimo punto centrale, tre. Pur
essendo notevolmente più spaziosa della vetta del Castore, ad
esempio, non offre molto spazio per le innumerevoli persone in ascesa:
inoltre il vento è gelido e, dopo lo sforzo ed il caldo, solo le
giacche leggere che indossiamo si interpongono tra di esso e processi
fisici, dovuti al brusco raffreddamento corporeo, tanto semplici
quanto negativi.
Una veloce controllata ai ramponi (che mi
permette di sedermi sulla vetta del Breithorn Occidentale, cosa non da
tutti i giorni) e scendiamo per le ore 09.46, abbandonando quel
balcone privilegiato. Un elicottero del 118 proveniente da Cervinia e
diretto alla zona tra Polluce e Castore mi fa temere per il mio amico,
che so impegnato sul Polluce, ma scoprirò che non ce n'era ragione.
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I primi metri ci riscuotono subito dall'estasi
trascendentale derivante dall'esperienza di vetta: il pendio è ripido
ed erto, il ghiaccio durissimo, occorre scendere affondando bene i
talloni rostrati dei ramponi e, soprattutto, non muovere un solo passo
senza prima essersi assicurati un terzo punto d'appoggio con la
piccozza. Siamo stati fortunati, perché sotto di noi si
materializzano decine e decine di alpinisti, impegnati in vari livelli
della salita: addirittura due o tre cordate da almeno venti persone,
un forte affollamento. Noi invece abbiamo avuto l'intera vetta libera,
seppur per pochi minuti.
La discesa è complicata dal dover cedere il passo a chi sta salendo,
cosa che comporta frequenti e prolungate uscite dalla traccia, là
dove la neve si fa più abbondante e farinosa, piena di buche. Mi si
sgancia l'antisnow anteriore del rampone destro, provocando qualche
guaio in un tratto difficile ed affollato, dove la presenza di fitte
cordate non traversabili mi obbliga a qualche numero da circo. Spesso
poi la corda prende a tirare con forza, minacciando di sbilanciarmi..
La solita vecchia storia: quando si accelera, gli altri frenano.
Quando si avrebbe bisogno di tre secondi di calma assoluta, ecco che
dall'imbrago si dipanano strattoni impazienti.
Raggiungiamo ad ogni modo il pianoro
sottostante il Breithorn per le 10.22, già sciolti: me la prendo
comoda ed arrivo per ultimo, nuovamente con le mie fide racchette,
sorseggiando acqua ad intermittenza da quella grande invenzione che è
il camelback. Un oggetto semplicissimo che però m'è valso decine di
soste per prendere la borraccia, bere, riporla. Un aiuto utilissimo
per restare ben idratato senza perdere tempo.
Da lì, dopo una sosta, ci aspettano ancora le piste del comprensorio
internazionale. Un'ora e mezza di fatica su pianori di neve marcia,
affondando in buche profonde fino alla caviglia, per poi rischiare di
farsi investire almeno duecento volte da sciatori lanciati e da
snowbordisti palesemente incapaci delle stesse eleganti virate dei
loro colleghi su due tavole. Il tratto dal Klein Matterhorn al Plateau
Rosa, soprattutto l'entrata del tunnel, è una corsa assurda
intervallata da frequenti occhiate alle nostre spalle, per tema di
individuare bolidi pronti ad imbarcarci: una cosa è volare giù da
un'aerea cresta, un'altra farsi male seriamente per colpa di qualche
deficiente che ha infilato il tunnel ai cento all'ora, senza
preoccuparsi di niente e di nessuno.
Al Plateau Rosa, le cose vanno anche peggio: gli sciatori e mandrie di
apprendisti sciatori saettano dalla nostra sinistra, giù dalla Gobba
di Rollin, con caricature di bang sonici quando ci sorpassano a pochi
passi di distanza. Siamo furenti, e Marco impugna bene la piccozza,
con aria chiaramente bellicosa: anch'io sono ben intenzionato a non
giocarmi due mesi di montagna per colpa di quegli stessi imbecilli che
fanno apposta a puntarci ridendo.
Scendiamo tagliando uno skilift e
costeggiandolo, sciando a modo nostro con gli scarponi. Me la prendo
comoda, indifferente alle occhiate sorprese degli sciatori che, a due
a due, risalgono verso la Gobba di Rollin per altre discese. Cosa ci
fa un bipede privo di tavole ai piedi, con uno zaino enorme ed un
cappello che è una via di mezzo tra Indiana Jones e quei berretti
flosci da fanteria leggera, di fianco a loro che invece salgono? Vedo
padri minacciare i figli in procinto di staccarsi dall'impugnatura
dello skilift, in tre lingue diverse, che capisco comunque benissimo.
Vedo gente salire parlando al telefono, bevendo da tazze di
polistirene tipo Autogrill, scattando foto. Alle mie spalle, due
ragazzi imparano ad usare i loro snowboard terminando le curve seduti
sulla neve, immancabilmente a dieci passi da me; più in basso, dove
mi aspettano Saul e Marco, un maestro da sci strilla Come on! Come
on! invece di fare la fatica di tornare su lungo i due metri
scarsi che lo separano dal suo affranto allievo, un ragazzino che
proprio non riesce a rialzarsi sugli sci.
Raggiungiamo, grazie agli dèi che proteggono
gli alpinisti nelle situazioni sciocche e pericolose, il Guide del
Cervino. Sono le ore 12.00 e la folla è densa, creando un incredibile
contrasto con il deserto bianco riscontrato il sabato precedente e
quella stessa mattina.
Decidiamo di tagliare subito la corda, prendendo la funivia alle
12.11. Anch'essa è superaffollata, con un caos trilingue e persone
maleducate che spingono costantemente pur avendo chiaramente notato
che, a meno di arrampicarci sugli zaini ai nostri piedi, d'altro
spazio non possiamo certo farne. Così si concludono due giorni di
montagna, culminati sulla vetta ventosa del Breithorn. In sintesi, un'esperienza interessante ed
affascinante, con lati positivi –il bel tempo, la salita, il
panorama- e negativi: il costo del rifugio e prima ancora lo choc
edilizio di Cervinia e del Plateau, l'affollamento delle piste al
ritorno, la neve già marcia che ha rallentato la discesa. Ma i lati
negativi, seppure innegabili e fedelmente riportati in questa cronaca,
non possono certo offuscare la gioia ed il piacere d'essermi seduto
sulla vetta del Breithorn Occidentale.
Come ultima annotazione,
vorrei dedicare questa esperienza ad alcune persone: a Marco e Saul,
per il supporto e la compagnia, sperando non mi portino rancore per
averli vinti a "Scala 40"; a Mauro, che abbiamo incontrato
al rifugio del Teodulo e, successivamente, verso il Breithorn; a
Massimiliano, impegnato nello stesso tempo nelle difficili vicende del
Polluce; e per concludere, alla giovanissima alpinista incontrata con
i suoi genitori sulla vetta ed al parcheggio retrostante la funivia di
Cervinia Breuil, con tutti i miei più sinceri complimenti.
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